Un lettore della provincia di Lucca ci ha fornito lo spunto per alcune riflessioni. Nella sua lettera ci chiede quale può essere il nesso che intercorre tra il commercio di rottami di gioielli usati, effettuato da un soggetto sprovvisto dei requisiti imposti dalla legge, ed il reato di riciclaggio. Nella breve lettera ci ha resi partecipi della sua testimonianza:
“Come tanti e senza avere l’intenzione di evadere l’IVA, ho lavorato seguendo quanto indicato dalla ditta a cui cedevo l’oro. La novella di quest’oggi è che il solito amico dell’amico sostiene che tra gli eventuali reati connessi per chi come noi ha ceduto rottami, vi sarebbe pure quello del riciclaggio. Attendo un vostro cortese chiarimento”.Effettivamente potrebbero sussistere i reati connessi alla violazione delle norme antiriciclaggio. La legge 7/2000 si esprime molto chiaramente in materia ben conoscendo, il legislatore, la posizione privilegiata che il metallo giallo detiene tra gli strumenti per il riciclaggio di denaro d’illecita provenienza.
La Risoluzione 375/E, come abbiamo avuto modo di approfondire nell’articolo precedente, dichiara espressamente che i “rottami di gioielli” rientrano nella nozione di “materiale d’oro” così come definito dalla Legge 7/01/2000. Sappiamo che il commercio di questi beni è demandato esclusivamente alle società iscritte all’Albo degli “Operatori professionali in oro” istituito presso la Banca d’Italia.
Alla stregua della monetazione aurea, dei lingotti e dei verghi d’oro, ovvero di tutti quei beni che ben si prestano a sostituire il denaro contante nei piani di accumulo e riserva economica, anche i “rottami auriferi”- che rientrano nella nozione di oro come definito dall’art.1 comma 1 lettera b legge 7/2000 - essendo beni di forma indistinta, in quanto ormai privi dell’aspetto originario, possono divenire facile strumento per la conversione di denaro "sporco".
A tale scopo la Banca d’Italia, in funzione antiriciclaggio, è tenuta per legge a verificare e monitorare cautelativamente le operazioni aventi per natura queste forme d’oro. L’articolo 1 comma 2 della legge 7/2000, infatti stabilisce:
“Chiunque dispone o effettua il trasferimento di oro da o verso l'estero, ovvero il commercio di oro nel territorio nazionale ovvero altra operazione in oro anche a titolo gratuito, ha l'obbligo di dichiarare l'operazione all'Ufficio italiano dei cambi, qualora il valore della stessa risulti di importo pari o superiore a 20 milioni di lire. All'obbligo di dichiarazione sono tenuti anche gli operatori professionali di cui al comma 3, sia che operino per conto proprio, sia che operino per conto di terzi. Dalla presente disposizione sono escluse le operazioni effettuate dalla Banca d'Italia.”Questo, in sintesi, cosa significa? Significa che le aziende, regolarmente iscritte all’Albo degli operatori professionali in oro, sono tenute mensilmente a comunicare, presso gli uffici della Banca d’Italia, tutte le operazioni che superano l’importo di 10.330 euro, aventi per oggetto l’oro nelle forme stabilite dalla stessa legge all’art, 1 comma 1 lettera
a e
b, ovvero:
- l’oro da investimento nelle varie forme (lingotti, placchette, verghi, etc.),
- la monetazione aurea coniata dopo il 1800 (sterline, marenghi, krugerrand, etc.);
- il “materiale d’oro” ovvero a funzione industriale quindi, oltre gli scarti di lavorazione, anche i rottami di gioielli.
I “rottami di gioielli” o di “oreficeria usata” sono stati fatti espressamente rientrare nella nozione “materiale d’oro” contemplato dalla legge 7/2000, oltre che dalla Risoluzione 375/E, anche dal già noto documento rilasciato dall’ex Ufficio Italiano dei Cambi “Chiarimenti in materia d’oro”, pubblicato il 20/06/2001.
Molti “compro oro”, sprovvisti dell’iscrizione all’Albo della Banca d’Italia, sostengono di poter cedere alle fonderie o ad altre aziende specializzate i ben noti “rottami di gioielli”, e di poter legittimamente applicare alle stesse cessioni, il meccanismo del
reverse charge. Come abbiamo dimostrato negli articoli precedenti, sappiamo che questo, dal punto di vista legislativo, non è possibile e potremmo aggiungere, proprio in suffragio delle nostre conclusioni, anche questo ulteriore dettaglio. Ovvero quello della mancata comunicazione mensile alla Banca d’Italia, di tutte le cessioni aventi per oggetto anche il “materiale d’oro”, cui i “rottami di gioielli” appartengono.
Diversamente sarebbe anche difficile spigare il perché, se il mercato di questi beni fosse “libero”, proprio i soggetti autorizzati dalla Banca d’Italia sarebbero obbligati a comunicare le cessioni, mentre il semplice titolare di una ditta individuale, quindi un soggetto assolutamente non monitorabile, libero di commerciare gli stessi beni senza sottostare all’obbligo di dichiarazione. La legge 7/2000, al fine di scoraggiare eventuali abusi all’articolo 4 comma 2 ci informa che:
2. Le violazioni dell'obbligo di dichiarazione di cui all'articolo 1, comma 2, sono punite con la sanzione amministrativa da un minimo del 10 per cento ad un massimo del 40 per cento del valore negoziato. Per l'accertamento delle violazioni previste dal presente comma e per l'irrogazione delle relative sanzioni si applicano le disposizioni del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, e successive modificazioni.Mentre al comma 1, per i soggetti che si sostituiscono nelle funzioni di un operatore professionale, quindi privi dell’ iscrizione all’albo degli operatori professionali:
1. Chiunque svolge l'attività di cui all'articolo 1, comma 3, senza averne dato comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, ovvero in assenza dei requisiti richiesti, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni. Alla stessa pena soggiace chiunque svolga l'attività prevista dall'articolo 2, comma 1, senza esservi legittimato.