domenica 13 dicembre 2009

Tra crisi e ombre di riciclaggio ecco il boom dei "Compro Oro"

di Francesca Savino

Diverse le inchieste già in corso e l´allarme dei commercianti: "Chiediamo regole certe, temiamo danni per tutta la categoria". Sulle insegne di Bari ci sono nove lettere sempre più diffuse. "Compro oro" recitano le scritte su vetrine scintillanti e piccoli laboratori, centri privati e negozi in franchising sparsi tra il centro e la periferia: così in tempo di crisi il mercato di uno dei metalli più preziosi brilla di una nuova luce. «Il successo di questi negozi negli ultimi mesi è uno degli indicatori più forti della recessione» riflette Rossella Miracapillo, del Movimento consumatori. «Il boom dei "compro oro" ci fa capire come in momenti come quello che stiamo attraversando, le persone siano disposte a vendere persino i gioielli di famiglia pur di avere disponibilità di denaro in contante». In provincia di Bari la Camera di commercio ha registrato 417 sedi di impresa attive nel terzo trimestre del 2009 che commerciano al dettaglio orologi e articoli di gioielleria.

Nella lista entrano insieme gli orafi e i negozi che vendono preziosi usati. Ma basta scorrere gli elenchi telefonici e le pubblicità on-line per scoprire come negli ultimi anni i "Compro oro" si siano moltiplicati. «Sono raddoppiati, se non triplicati» riflette il presidente della Federazione nazionale dettagliante orafi di Confcommercio Giuseppe Aquilino, che a Bari vive e lavora. Le più diffuse sono le catene in franchising, che offrono garanzia di quotazioni aggiornate e una rete di controlli professionale: la "orocash" ha una sede in città e altre 28 nel resto della regione, "Giallo Oro" ne conta sette tra il centro e la provincia, "Gold 2000" ha tre negozi fra Bari, Bitonto e Modugno. Poi ci sono i centri di medio e piccolo calibro, e una rete di commercio in penombra o sommerso che fa gridare all´allarme. «È fuori di dubbio che molti si siano specializzati in questa attività con improvvisazione e, troppo spesso, anche in spregio della legge» denuncia Aquilino.

«I numeri parlano chiaro: ogni giorno la cronaca riporta di episodi criminosi legati alla compravendita dell´oro». I casi più recenti riguardano le indagini della Guardia di Finanza, che ad ottobre ha scoperto un´evasione fiscale da 500mila euro a Taranto e un´altra da 160mila euro ad Ostuni, dove uno dei clienti del commerciante incriminato è anche stato denunciato per ricettazione. Il rischio è che i negozi vengano utilizzati come "lavatrici" per rimettere sul mercato refurtiva o soldi sporchi: cercando su internet non è difficile trovare annunci che promettono «ritiro anche da casa, massima riservatezza».

Sul versante delle evasioni, già la scorsa estate le Fiamme Gialle avevano fatto un blitz nel Barese: a giugno le ispezioni dei finanzieri a Monopoli, Conversano e Polignano a Mare negli esercizi specializzati nell´acquisto di oro e argento usato aveva portato alla scoperta di una maxievasione di IVA da un milione di euro. I militari scoprirono che gli esercizi acquistavano gli oggetti in oro dai privati cittadini come se si trattasse di merce da rottamare, beneficiando così di una totale esenzione in materia di imposta sul valore aggiunto. «Per questo chiediamo a gran voce regole certe per il mercato della compravendita di oro» spiega Aquilino dal vertice della Federdettaglianti. «Basterebbe applicare correttamente la normativa in vigore per evitare fenomeni che danneggiano tutta la categoria» conclude Aquilino.

Tratto da: www.espresso.repubblica.it

venerdì 4 dicembre 2009

"Compro oro": i dettaglianti orafi chiedono garanzie per il mercato

Pubblichiamo questo articolo tratto dal sito di Confcommercio. Lo facciamo con il sorriso sulle labbra, poichè ci pare chiaro ed evidente che si stia tentando di tutto pur di non affrontare la vera ed inopinabile realtà del problema. Il signor Giuseppe Aquilino, presidente della Federazione Nazionale Dettaglianti Orafi di Confcommercio, sembra disconoscere ciò che per lui dovrebbe invece rappresentare il pane quotidiano. Infatti sappiamo che rispetto a ciò che egli afferma, ovvero che quella dei "compro oro" è "Una realtà composta, in prevalenza, da operatori in regola", corrisponde al falso. Nella pagine di questo blog lungamente abbiamo affrontato le tematiche fiscali e legislative inerenti il commercio dei preziosi. Nonostante le macroscopiche incongruenze che attanagliano il settore in materia tributaria e legislativa, il signor Aquilino dichiara di voler intavolare una discussione con il Ministero degli Interni anziche con l'Agenzia delle Entrate e, pertanto, con il Ministero dell'Economia. Parlare di "pagliuzze" ed ignorare le "travi" ci sembra un sistema per nascondere la vera natura del problema, ma del resto siamo in Italia dove per comprire i problemi grandi si preferisce, magari per evitare di scomodare qualche interesse di troppo, chiacchierare di quelli piccoli. Comunque di seguito il testo dell'articolo.

"Nei prossimi giorni è previsto un intervento presso il Ministero dell’Interno per chiedere chiarimenti sulla normativa in materia di autorizzazioni di pubblica sicurezza per questa tipologia di esercizi commerciali.
ID doc: 62768 Data: 25.11.2009 (aggiornato il: 25.nov.2009)
Si rincorrono ultimamente sulla stampa nazionale le notizie relative al coinvolgimento dei cosiddetti compro oro in attività criminose. L’ultima viene dalla Liguria, dove è stata chiusa una società che gestiva circa 76 attività di compravendita di oro usato facente capo a narcotrafficanti finiti in manette grazie ad una operazione congiunta tra Polizia di Stato e Guardia di Finanza, con sequestro di beni per oltre 10 milioni di euro.

“E’ solo l’ultimo degli episodi - afferma Giuseppe Aquilino, presidente della Federazione Nazionale Dettaglianti Orafi di Confcommercio - che coinvolgono queste attività commerciali che dal 2000, a seguito della liberalizzazione del mercato dell’oro, fioriscono in ogni angolo del nostro Paese”.

“Una realtà composta, in prevalenza, da operatori in regola con le disposizioni previste dalla normativa vigente - prosegue Aquilino - ma troppo spesso fonte di interesse per la malavita organizzata, complice anche il rialzo del prezzo del metallo giallo che negli ultimi mesi ha raggiunto cifre record. Ogni giorno alla lista già lunga di interventi delle Forze dell’Ordine vanno ad aggiungersi nuove denuncie nei confronti di titolari di questi esercizi commerciali che dietro l’insegna compro oro, in realtà commettono illeciti inquinando un mercato composto anche da imprese che intravedono nel ritiro dell’oro usato l’opportunità di offrire in cambio di una buona valutazione, monili nuovi”.
Nei prossimi giorni è previsto un intervento presso il Ministero dell’Interno per chiedere chiarimenti sulla normativa in materia di autorizzazioni di pubblica sicurezza per questa tipologia di esercizi commerciali che garantisca il mercato e gli operatori."


Tratto da www.confcommercio.it

mercoledì 25 novembre 2009

Operazione "Re Mida" della Guardia di Finanza














Savona, 25 novembre 2009: “E’ stata un’operazione che ha messo in luce il perfetto coordinamento tra la polizia di Stato e la Guardia di Finanza”. Questo il commento del Questore Vittorino Grillo sull’operazione “Re Mida” che ha smantellato un’organizzazione criminale di narcotrafficanti e ha permesso di sequestrare beni per un valore di circa dieci milioni. Sotto sequestro sono finite società, capitali e aziende in Liguria e Roma. In particolare società che si occupavano di compravendita di oro usato pagando per contanti “A peso d oro” e “Proposte d’oro”.

L’operazione prende spunto da alcuni arresti effettuati dalla Squadra Mobile per traffico di droga nel giugno scorso. Ulteriori approfondimenti nelle indagini hanno portato ad individuare l’organizzazione criminale che gestiva questi beni di provenienza illecita attraverso il riutilizzo e la possibilità di ricommercializzazione. I criminali, che gestivano un traffico illecito di sostanze stupefacenti con ramificazioni in Spagna e intendevano “allargarsi”, avevano quindi la possibilità di guadagnare somme di denaro notevoli che poi venivano immesse sul mercato finanziario tramite le loro società. “Atrraverso accertamenti sugli stati patrimoniali, dal 2002 ad oggi, siamo riusciti a sequestrare tutti questi beni immobili, disponibilità finanziarie e complessi aziendali” ha precisato il Questore di Savona.

A finire in manette, durante l’operazione di giugno, erano stati Davide Mannarà, 30 anni savonese e Luca Nastasi, 27 anni, nato a Gela ma residente a Savona, che gestivano le società di compravendita dell’oro. La Mobile ha seguito gli spostamenti di Mannarà, molto abile nel sviare le intercettazioni, e dell’organizzazione per sei mesi. Il gruppo importava cocaina dalla Spagna per savona e per il milanese due volte al mese. Nell’ultimo peridodo Mannarà stava addirittura tentando di scavalcare la Spagna per acquistare la droga direttamente in Colombia.

Uno degli elementi che ha insospettito fin da subito gli inquirenti è stato il fatto che gli interessati dichiaravano poco o nulla all’erario ma in realtà avevano un tenore di vita altissimo. Dettaglio che ha fatto scattare quindi le indagini sul patrimonio che hanno messo in evidenza gli illeciti. La truffa coinvolgeva un totale di 76 filiali (9 in Liguria) di “A peso d oro” e “Proposte d’oro”, ma quasi tutte ignare di fare parte della truffa. Molte società avevano infatti semplicemente aderito al franchising senza sapere che a gestirlo era un’organizzazione criminale.

Molto soddisfatto del risultato conseguito anche il comandante delle Fiamme Gialle Roberto Visintin: “Abbiamo unito le forze. Noi in particolare abbiamo ricostruito il patrimonio riconducibile a questi narcotrafficanti e abbiamo consentito al Tribunale di Savona di procedere al sequestro preventivo in attesa della successiva ed eventuale confisca dei beni”. Attualmente le società e le attività che sono state coinvolte nell’indagine ma non direttamente gestite dagli indagati, e quindi estranee all’organizzazione, continueranno ad operare attraverso un professionista nominato dal Tribunale che le gestirà.

Articolo tratto da: www.ivg.it

martedì 10 novembre 2009

Alcuni chiarimenti

Un lettore ci scrive chiedendo delucidazioni in merito alle cessioni di oggetti preziosi. Di seguito il testo della lettera:

"Salve,
ho un negozio con regolari licenze di gioielleria (commercio gioielli) e laboratorio orafo (iscritto all'albo speciale artigiani con relativo marchio di identificazione fabbricazione gioielli).
Premesso ciò volevo sapere se la procedura che svolgo occasionalmente è esatta:
Compro oro da privati (miei clienti,con tutte le procedure regolari-documento e registrazione registro PS), dopodichè NON modifico ne trasformo nulla se non dopo i famosi 10 giorni(prima domanda:lavorativi?calcolando le domeniche o i sabati??o come calcolare questi 10 giorni??)...trascorsi tali giorni rivendo a ditta SPA iscritta alla Banca d'Italia con fattura specifica di Iva non addebbitata ai sensi del Dpr 633/72 e sm art 17 e.5 in applicazione legge 7/2000 Art 3 comma 4. Con alla voce beni e servizi :vendita rottami auriferi.(poichè da come mi è stato spiegato io come laboratorio orafo posso e sono abilitato a trasformare l'oro in come voglio e quindi dopo processi di varia lavorazione in "rottami")
E' esatta la procedura? Con le mie licenze posso eseguire tali operazioni o mi devo iscrivere alla banca di Italia pur facendo queste operazioni occasionalmente?
Se la procedura che faccio non è esatta e non posso utilizzare la fattura con Iva non addebbitata, come devo fare i calcoli per l' Iva da applicare sulla fattura per la vendita dell'oro alla SPA e come devo denominare la merce venduta?
Insomma come tanti operatori come me che hanno un laboratorio orafo e gioielleria vorrei svolgere questa attività in piena regola e senza anzie - preoccupazioni-paure di denuncie penali/civili/amministrative ogni quando mi entra un cliente che vuol vendere semplicemente oro usato e io fare il mio piccolo guadagno per un lavoro che svolgo dalla mattina alla sera barricato nel negozio....
Ho letto e riletto la legge 2000 ma il mio caso non è mensionato poichè è scritto che posso acquistare oggetti usati da privati rivenderli (ma qui ci vuole un'altra licenza comunale-vendita oggetti usati) e "senza ulteriore trasformazione". E cosa ci dovrei fare con questo oro che ho comprato se non posso trasformalo visto che sono orafo?!?E se io lo voglio rivendere rotto come faccio ,perchè non potrei??
Un po' di chiarezza sarebbe benedetta!!!
Grazie mille e scusate per lo sfogo ma a volte nel fare questa attività nobile come l'arte dell'orafo sembra di stare a rubare e lavorare con fucili puntati da normative non del tutto chiare.....spero di sbagliarmi in merito a tutto e aspetto Vostre risposte sicuramente dettagliate ed esaustive..."


Gentile lettore,
venendo alla Sua prima domanda relativa all’obbligo di custodia della merce acquistata da soggetti privati, ai sensi dell’ art. 128 del T.U.L.P.S. Lei è tenuto a non “alterare o alienare” i beni se non trascorsi i dieci giorni. Dal momento che il Testo Unico non specifica altro “se non dieci giorni dopo l'acquisto” vanno ricompresi in questa dizione anche i giorni festivi.
Il Suo secondo quesito evidenzia una procedura errata. Infatti Lei, pur essendo in possesso di regolare licenza di laboratorio orafo, in alcun modo può trasformare i beni per rivenderli sotto forma di "rottami", quindi "materiale d'oro", applicando alle cessioni il reverse charge. Infatti ai sensi dell’art.1 comma 4 Legge 7/2000 Lei può operare la trasformazione e lavorazione di metalli preziosi acquistati, soltanto “al fine di destinarlo alla propria lavorazione industriale o artigianale”. Quindi è da escludere categoricamente la vendita dei suddetti beni sotto forma di rottami, essendo tale commercio riservato ai soggetti iscritti all’albo degli Operatori professionali in oro.

Per rispondere alla terza domanda, vi sono due possibilità. Vendere i beni e ricevere sulla fattura l’aliquota IVA ordinaria al 20%, oppure beneficiare del “regime speciale del margine globale” se le cessioni vengono effettuate in “massa”, ovvero più oggetti venduti contestualmente al medesimo cessionario. In questo caso Lei, e non il cessionario, dovrà corrispondere l’IVA pari al 20% applicato sulla differenza tra il costo sostenuto per acquistare il bene e il corrispettivo di rivendita. In entrambe i casi gli oggetti dovranno essere descritti in fattura per quello che realmente sono, ovvero “oreficeria usata”.

Diversamente, se sprovvisto di licenza di rivendita di gioielli al minuto, dovrà provvedere inoltrando la denuncia di inizio attività (DIA) al Comune e alla registrazione alla Camera di Commercio al codice “Commercio al dettaglio di orologi, articoli di gioielleria e argenteria” oltre alla richiesta di estensione della Sua licenza da far pervenire alla Questura competente per il territorio. Ricevute le citate autorizzazioni, potrà scegliere anche di rivendere gli oggetti acquistati beneficiando del “regime speciale del margine ordinario” e applicare l’IVA pari al 20% sulla differenza tra il costo sostenuto per acquistare il bene e il corrispettivo di rivendita, su ciascun oggetto rivenduto al minuto.

domenica 1 novembre 2009

Il Reverse Charge applicato alle cessioni di preziosi

Scrive un lettore dalla provincia di Bologna:"Volevo da voi conoscere l’eventuale fonte giuridica secondo cui il titolare di un c.d “Compro oro”, non iscritto alla Banca d’Italia, non potrebbe beneficiare del Reverse Charge. Grazie"

Gentile lettore,
l’Inversione Contabile, nota come reverse charge, è definita dall’articolo 17, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, il quale stabilisce che sia applicabile soltanto a due categorie di beni, ovvero:
"a) cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’articolo 10, n. 11 di cui allo stesso D.P.R. 633;
b) cessioni di materiale d’oro e cessioni di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi."


Quindi quei beni che ai sensi dell'art. 1 comma 1 lettere a) e b) legge 7/2000, possono essere esclusivamente commerciati dagli "operatori professionali in oro" regolarmente iscritti all'Albo istituito presso la Banca d'Italia a norma dell'art. 1 comma 3 legge 7/2000.

E' bene ricordare che, oltre i semilavorati, rientrano nella classificazione del "materiale d'oro" anche i "rottami di gioielli", ovvero l'oreficeria danneggiata e irreparabile, come stabilito dalla Risoluzione 375/E del 28/11/2002 la quale definisce che “rientrano nella nozione di “materiale d’oro” tutte le forme di oro grezzo destinate ad una successiva lavorazione, e che la caratteristica di un “semilavorato” è costituita dall’essere un prodotto privo di una specifico uso e funzione” Dichiarando altresì che La scrivente ritiene, pertanto, che la predetta vendita di rottami di gioielli d’oro, in sé non suscettibili di utilizzazione da parte del consumatore finale, ad un soggetto che non li destina (né può destinarli) al consumo finale, ma li impiega in un processo intermedio di lavorazione e trasformazione, possa essere assimilata a cessione di materiale d’oro o semilavorato

Quindi, visto che i "rottami di gioielli" rientrano nella nozione di "materiale d'oro", ed essendo noto che i soli qualificati ad effettuare questo tipo di commercio, ai sensi dell'articolo 1 comma 3 legge 7/2000, sono i soggetti regolarmente iscritti all'"Albo degli operatori professionali in oro" è da escludere qualsiasi tipo di attività esercitata in tal senso da soggetti autorizzati al solo commercio di preziosi, quindi oggetti finiti, come i c.d. "compro oro". Non è pertanto ipotizzabile che un soggetto non iscritto all'Albo, possa cedere rottami auriferi ad aziende specializzate nel recupero di metalli preziosi, quali materie prime secondarie.

Per quanto riguarda invece le cessioni di "oggetti finiti", anche se queste destinate ad aziende che poi li reimpigheranno in processi di trasformazione, non potranno essere effettuate beneficiando del reverse charge, come stabilito dalla Risoluzione 161/E del 26/10/2001, la quale definisce che “i prodotti come le montature di anelli o le chiusure per collane e bracciali hanno completato il loro specifico processo produttivo e debbono essere considerati prodotti finiti e non materia prima destinata alla lavorazione".
Quindi, considerato che i manufatti in questione non possono essere ricompresi nell'ambito dei semilavorati, si deve concludere che per essi "non possa trovare applicazione il meccanismo di cui all'articolo 17, comma 5; l'imposta, pertanto, deve essere assolta nei modi ordinari".

Risulta estremamente chiaro che un c.d. ”compro oro” sprovvisto dell'iscrizione all'albo degli “operatori professionali”, non potendo in alcun modo commerciare in “semilavorati” o “rottami di gioielli” e applicare a queste cessioni il reverse charge- rientrando le due categorie dei beni nella “nozione di materiale d’oro”- è obbligato a cedere i preziosi usati applicando alle cessioni i "metodi ordinari", ovvero le aliquote IVA al 20% o a margine, come concesso ai beni usati.

Cordialmente

giovedì 22 ottobre 2009



Visto il ritmo serrato con cui in questi giorni arrivano notizie dalla Puglia in merito alle indagini effettuate dai militari della Guardia di Finanza, ci limiteremo esclusivamente a pubblicare le notizie inerenti lo svolgersi dell'attività investigativa, senza aggiungere ulteriori commenti.

"OSTUNI | 22/10/2009 |La citta' bianca ancora in prima. Dopo la notizia della Ferrari taroccata, oggi arriva quella della frode dell'oro. I militari della GdF infatti, all'esito di specifiche indagini, hanno scoperto una frode fiscale per oltre 160 mila euro. Le fiamme gialle hanno individuato un impresa, operante nel settore del "compro oro" che dal 2004 al 2008 ha evaso iva per oltre 160 mila euro. Ed ancora una persona, responsabile di aver venduto alla ditta individuata considerevoli quantitativi di oro di provenienza furtiva, e' stata denunciata per ricettazione."

Tratto da: www.ilbrindisino.it

"TARANTO, 22/10/2009: Operazione della Guardia di Finanza; scoperta evasione fiscale per circa 500mila euro; una persona e’ stata denunziata all’Autorità Giudiziaria.
I Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Taranto, all’esito di complesse indagini, hanno scoperto una evasione fiscale perpetrata da una società nei periodi d’imposta dal 2005 al 2009. Nel particolare le Fiamme Gialle hanno accertato che l’impresa, operante nel settore del commercio dell’oro usato, ha evaso I.V.A. per circa 500 mila euro. Una persona e’ stata denunziata all’Autorità Giudiziaria." "

Tratto da: www.eventiecommenti.it

lunedì 19 ottobre 2009

La Puglia ancora sotto la lente della Guardia di Finanza

Ancora dalla regione Puglia giungono notizie inerenti le verifiche eseguite dai militari della Guardia di Finanza nei confronti dei negozi "compro oro". Una lunga lista a cui, quasi ogni giorno, vanno ad aggiungersi nuove denuncie nei confronti dei titolari di questi esercizi commerciali. Il denominatore comune di verifica resta l'evasione IVA. Con accuarata e metodica tenacia i finanzieri stanno passando al settaccio la contabilità dei "compro oro" e, a quanto pare, raggiungendo ragguardaveloli risultati. Comunque, di seguito, il testo integrale della notizia:

"MANDURIA - OPERAZIONE DELLA GUARDIA DI FINANZA, SCOPERTA EVASIONE PER 310 MILA EURO
19/10/2009
I Militari della Tenenza della Guardia di Finanza di Manduria, all'esito di complesse indagini di polizia economica e finanziaria, hanno scoperto un'evasione fiscale perpetrata da due esercizi commerciali operanti nel settore del c.d. "Compro Oro".

Trecentodiecimila euro in due anni e mezzo in due esercizi. E’ solo una parte del ricco mercato della compravendita dell’oro usato a Manduria dove la Guardia di Finanza ha scoperto e denunciato due imprenditori titolari di altrettante oreficerie che con l’acquisto di preziosi usati hanno fatto una fortuna incassando, insieme, almeno un terzo di milione di euro non dichiarandolo al fisco. Secondo le fiamme gialle della tenenza della Guardia di Finanza di Manduria comandati dal tenente Carlo Balestra, infatti, sarebbero migliaia le persone che nel corso degli anni si sono presentati nei due esercizi con i propri preziosi per ricavare qualcosa di concreto. «Non i soliti orecchini rotti o la collanina spezzata o il vecchio anello sformato – spiegano gli investigatori che hanno potuto vedere l’elenco degli oggetti acquistati dai due imprenditori denunciati –, ma degli autentici monili, anche di un certo valore, tenuti in ottimo stato dai proprietari che se ne disfacevano per bisogno di liquidità».
Dietro questi bisogni è nato un business che gira milioni di euro l’anno se è vero che solo nei due esercizi individuati dalla Guardia di Finanza si è commercializzato oro usato per trecentodiecimila euro di somme non dichiarate o evase in solo due anni e mezzo. Il meccanismo, utilizzato dai due imprenditori per aggirare il fisco, consisteva nell’acquistare l’oro usato dai privati cittadini e di rivenderlo come “rottame di metallo prezioso” alle fonderie del Centro Nord Italia che potrebbero avere responsabilità nell’affare. Questo sistema permetteva l’esenzione dell’imposta IVA, non dovuta per i rottami ma obbligatoria per il commercio dell’oro usato. In uno dei due esercizi individuati, inoltre, le fiamme gialle hanno sorpreso un dipendente che lavorava in nero. I titolari delle due oreficerie sono stati denunciati all’autorità giudiziaria per reati di natura fiscale e amministrativa.


Fonte della notizia: www.lavocedimanduria.it

Il commercio di rottami auriferi e le disposizioni antiriciclaggio

Un lettore della provincia di Lucca ci ha fornito lo spunto per alcune riflessioni. Nella sua lettera ci chiede quale può essere il nesso che intercorre tra il commercio di rottami di gioielli usati, effettuato da un soggetto sprovvisto dei requisiti imposti dalla legge, ed il reato di riciclaggio. Nella breve lettera ci ha resi partecipi della sua testimonianza: “Come tanti e senza avere l’intenzione di evadere l’IVA, ho lavorato seguendo quanto indicato dalla ditta a cui cedevo l’oro. La novella di quest’oggi è che il solito amico dell’amico sostiene che tra gli eventuali reati connessi per chi come noi ha ceduto rottami, vi sarebbe pure quello del riciclaggio. Attendo un vostro cortese chiarimento”.

Effettivamente potrebbero sussistere i reati connessi alla violazione delle norme antiriciclaggio. La legge 7/2000 si esprime molto chiaramente in materia ben conoscendo, il legislatore, la posizione privilegiata che il metallo giallo detiene tra gli strumenti per il riciclaggio di denaro d’illecita provenienza.

La Risoluzione 375/E, come abbiamo avuto modo di approfondire nell’articolo precedente, dichiara espressamente che i “rottami di gioielli” rientrano nella nozione di “materiale d’oro” così come definito dalla Legge 7/01/2000. Sappiamo che il commercio di questi beni è demandato esclusivamente alle società iscritte all’Albo degli “Operatori professionali in oro” istituito presso la Banca d’Italia.
Alla stregua della monetazione aurea, dei lingotti e dei verghi d’oro, ovvero di tutti quei beni che ben si prestano a sostituire il denaro contante nei piani di accumulo e riserva economica, anche i “rottami auriferi”- che rientrano nella nozione di oro come definito dall’art.1 comma 1 lettera b legge 7/2000 - essendo beni di forma indistinta, in quanto ormai privi dell’aspetto originario, possono divenire facile strumento per la conversione di denaro "sporco".

A tale scopo la Banca d’Italia, in funzione antiriciclaggio, è tenuta per legge a verificare e monitorare cautelativamente le operazioni aventi per natura queste forme d’oro. L’articolo 1 comma 2 della legge 7/2000, infatti stabilisce: “Chiunque dispone o effettua il trasferimento di oro da o verso l'estero, ovvero il commercio di oro nel territorio nazionale ovvero altra operazione in oro anche a titolo gratuito, ha l'obbligo di dichiarare l'operazione all'Ufficio italiano dei cambi, qualora il valore della stessa risulti di importo pari o superiore a 20 milioni di lire. All'obbligo di dichiarazione sono tenuti anche gli operatori professionali di cui al comma 3, sia che operino per conto proprio, sia che operino per conto di terzi. Dalla presente disposizione sono escluse le operazioni effettuate dalla Banca d'Italia.”

Questo, in sintesi, cosa significa? Significa che le aziende, regolarmente iscritte all’Albo degli operatori professionali in oro, sono tenute mensilmente a comunicare, presso gli uffici della Banca d’Italia, tutte le operazioni che superano l’importo di 10.330 euro, aventi per oggetto l’oro nelle forme stabilite dalla stessa legge all’art, 1 comma 1 lettera a e b, ovvero:
- l’oro da investimento nelle varie forme (lingotti, placchette, verghi, etc.),
- la monetazione aurea coniata dopo il 1800 (sterline, marenghi, krugerrand, etc.);
- il “materiale d’oro” ovvero a funzione industriale quindi, oltre gli scarti di lavorazione, anche i rottami di gioielli.

I “rottami di gioielli” o di “oreficeria usata” sono stati fatti espressamente rientrare nella nozione “materiale d’oro” contemplato dalla legge 7/2000, oltre che dalla Risoluzione 375/E, anche dal già noto documento rilasciato dall’ex Ufficio Italiano dei Cambi “Chiarimenti in materia d’oro”, pubblicato il 20/06/2001.
Molti “compro oro”, sprovvisti dell’iscrizione all’Albo della Banca d’Italia, sostengono di poter cedere alle fonderie o ad altre aziende specializzate i ben noti “rottami di gioielli”, e di poter legittimamente applicare alle stesse cessioni, il meccanismo del reverse charge. Come abbiamo dimostrato negli articoli precedenti, sappiamo che questo, dal punto di vista legislativo, non è possibile e potremmo aggiungere, proprio in suffragio delle nostre conclusioni, anche questo ulteriore dettaglio. Ovvero quello della mancata comunicazione mensile alla Banca d’Italia, di tutte le cessioni aventi per oggetto anche il “materiale d’oro”, cui i “rottami di gioielli” appartengono.

Diversamente sarebbe anche difficile spigare il perché, se il mercato di questi beni fosse “libero”, proprio i soggetti autorizzati dalla Banca d’Italia sarebbero obbligati a comunicare le cessioni, mentre il semplice titolare di una ditta individuale, quindi un soggetto assolutamente non monitorabile, libero di commerciare gli stessi beni senza sottostare all’obbligo di dichiarazione. La legge 7/2000, al fine di scoraggiare eventuali abusi all’articolo 4 comma 2 ci informa che:

2. Le violazioni dell'obbligo di dichiarazione di cui all'articolo 1, comma 2, sono punite con la sanzione amministrativa da un minimo del 10 per cento ad un massimo del 40 per cento del valore negoziato. Per l'accertamento delle violazioni previste dal presente comma e per l'irrogazione delle relative sanzioni si applicano le disposizioni del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, e successive modificazioni.

Mentre al comma 1, per i soggetti che si sostituiscono nelle funzioni di un operatore professionale, quindi privi dell’ iscrizione all’albo degli operatori professionali:

1. Chiunque svolge l'attività di cui all'articolo 1, comma 3, senza averne dato comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, ovvero in assenza dei requisiti richiesti, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni. Alla stessa pena soggiace chiunque svolga l'attività prevista dall'articolo 2, comma 1, senza esservi legittimato.

martedì 13 ottobre 2009

Continua l'evasione


FASANO - Avrebbe frodato il fisco per circa 400 mila euro. A scoprire una frode portata a compimento nel fasanese sono stati i militari della compagnia della Guardia di Finanza di Fasano, al comando del tenente Francesco Calimero. In particolare le Fiamme Gialle hanno individuato un' impresa che opera nel settore del commercio di metalli preziosi che, dal 2004 ad oggi, avrebbe evaso l’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) per circa 400 mila euro. Il titolare del negozio è stato denunciato a piede libero alla autorità giudiziaria. A quanto pare avrebbe acquistato dal 2004 ad oggi preziosi per poi rivenderli come “rottami” senza applicare l’IVA. Un meccanismo che avrebbe evitato alla sua azienda di sborsare quasi 800 milioni di vecchie lire di IVA. Dai controlli fiscali, comunque, è emerso che la contabilità dell' impresa era tenuta in maniera corretta ed ineccepibile. L’unico “neo” riscontrato è stato quello che, all’atto di rivendere i monili in oro e argento che il negozio acquistava da privati cittadini, sugli stessi non pagava l’IVA cedendoli come “rottami”, risparmiando davvero una bella sommetta.

Tratto da: www.gofasano.it

martedì 1 settembre 2009

COMPRO ORO...

Alcuni utenti ci hanno scritto contestando i nostri articoli e relative conclusioni. Siamo sempre aperti a ricevere critiche, poiché anch’esse rappresentano il sale in un dialogo. Sarebbe meglio però portare a suffragio delle proprie disquisizioni Leggi, Decreti o Pareri come è costume nell’esposizione di opinioni giuridiche o economiche. Non è possibile dire : “io vendo a chi voglio perché la roba è mia” oppure come un signore del centro Italia “vendo con il reverse charge perché la fonderia mi dice di fare così e certamente loro conoscono la legge meglio di voi”. Un dialogo costruttivo, come ho spiegato poco prima, presuppone uno scambio di opinioni, ma suffragate da argomentazioni giuridicamente fondate. Questo blog, volutamente, è aperto a tutti pertanto chiediamo, ai meno esperti di materie fiscali, di voltare queste pagine ai propri commercialisti. Loro senz’altro, da professionisti, sapranno evidenziare e contrapporre, in maniera più ortodossa, eventuali parei o perpessità riscontrati nei nostri articoli. Comunque settembre è iniziato e a tutti, buon lavoro!

lunedì 17 agosto 2009

LA RISOLUZIONE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE 375/E 2002 ALLA LUCE DELLA LEGGE 7/01/2000

Sappiamo che i comunemente denominati “compro oro”, come abbiamo avuto modo di affrontare in altri articoli, al fine di vendere direttamente alla fonderie i gioielli usati acquistati dai privati cittadini dichiarano di cedere “rottami”, alterando la natura degli stessi beni acquistati all’origine, con l'unico intento di beneficiare del meccanismo dell’Inversione Contabile, comunemente nota come Reverse Charge. Questa procedura consente di fatto al cessionario, di non corrispondere l’IVA in fattura. Di per sè questo sistema è corretto, non fosse per il fatto che un'azienda non configurata come “operatrice professionale in oro” in alcun modo può effettuare cessioni di “materiale d’oro”, cui i “rottami di gioielli” appartengono e pertanto poter benificare dell'Inversione contabile. La Risoluzione, di cui abbiamo riportato il testo integrale, viene però fin troppo spesso ed arbitrariamente interpretata come un aperta autorizzazione, da parte dell’Agenzia delle Entarte nei confronti dei “compro oro”, a commerciare "rottami" auriferi beneficiando del meccanismo noto come Reverse Charge. Interpretazioni che spesso si soffermano sull'aspetto puramente tecnico senza tenere minimamente conto delle restrizioni legislative come nel caso di quella fornita dal prof. Mario Pollarolo del CERDEF il quale, sostiene, la possibilità da parte di un non meglio identificato commerciante dedito all'attività genericamente definita di "compro oro", di poter effettuare la cessione di rottami auriferi a "banchi metalli", potendo applicare alle vendite il meccanismo del reverse charge.

In poche righe dimostreremo che nei fatti non è così e che, al contario, stabilisce proprio che i “rottami di gioielli” rientrano nella nozione di “materiale d’oro” contenuto nella legge 7/2000, la stessa legge che impone il commercio di questo tipo di beni esclusivamente agli operatori professionali, ovvero a quelle aziende configurate secondo i requisiti stabiliti dall’articolo 1 comma 3 legge 7/2000. Quindi nel testo del Prof. Pollarolo è presente una vistosa, nonchè dannosa, omissione. Comunque leggiamo il testo della risoluzione 375/E riprodotta nella sua stesura integrale.

OGGETTO: Applicazione dello speciale meccanismo del reverse charge di cui all’articolo 17, comma 5, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 agli acquisti di oggetti d’oro avariati da esercenti il commercio c.d. “compro oro”. Inapplicabilità della sanzione amministrativa di cui all’articolo 6, comma 8, del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Istanza di interpello - articolo 11 legge 27 luglio 2000, n. 212
Istanza della XW S.p.A.
Con istanza d’interpello, presentata ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.212, la XW S.p.A. ha esposto il seguente quesito volto a conoscere l’esatta applicazione dell’art. 17, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’art. 6, comma 8, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.
QUESITO
L’attività della società istante, operatore professionale autorizzato all'esercizio del commercio in oro dall'Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.) a norma della legge 17 gennaio 2000, n. 7, consiste, tra l’altro, nell’acquisto di oggetti preziosi d’oro usati e/o avariati per la successiva affinazione e recupero del metallo prezioso ivi contenuto.
In particolare, a seguito dello sviluppo del mercato del c.d. “compro oro”, i commercianti all’ingrosso e/o al dettaglio di preziosi acquistano da privati oggetti d’oro e d’argento usati, per poi rivenderli, sotto forma di rottami di gioielli d'oro, verghe aurifere o, comunque, oggetti destinati alla fusione, a soggetti che, come la XW SpA, operano nel settore dell’affinazione e del recupero dei metalli preziosi.
/Tanto premesso la società chiede se sia possibile applicare ai suddetti acquisti il meccanismo del reverse charge di cui all’articolo 17, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (ossia l’emissione della fattura senza IVA da parte del commerciante e la successiva integrazione da parte della società acquirente), senza, per questo, incorrere nella previsione sanzionatoria di cui all’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (ricevimento di fatture d’acquisto prive dell’imposta).
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
La società istante ritiene di poter applicare lo speciale meccanismo del reverse charge previsto dall’art. 17, comma 5, del DPR n. 633 del 1972, per le cessioni di oro industriale, considerato che, nel caso di specie, il materiale d’oro usato ceduto dai commercianti presenta le medesime caratteristiche dell’oro industriale, non potendo essere utilizzato senza prima essere sottoposto ad una ulteriore lavorazione.
D’altronde, la società istante dichiara di non acquistare i prodotti ancora idonei ad essere venduti come merce finita, dato che opera esclusivamente nel settore del recupero di materiali preziosi e non svolge l’attività di commercializzazione di gioielli.
Per quanto sopra non si ravvisa alcun ostacolo al fatto che il venditore emetta la fattura senza imposta per certificare la cessione dei rottami d’oro alla società istante, e che dette fatture siano integrate dall’acquirente così come dispone il comma 5 dell’articolo 17 del DPR n. 633.
Secondo la XW SpA, infatti, procedendo come sopra descritto, non si configura la violazione di cui all'articolo 6, comma 8, del decreto legislativo n. 471 del 1997 (acquisto di beni con fattura irregolare), né si rende necessaria la regolarizzazione da parte del cessionario ed il conseguente versamento all’Erario dell’imposta non versata dal cedente, dovendosi considerare conformi alla legge le fatture d’acquisto ricevute senza applicazione dell'IVA.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
La legge 17 gennaio 2000, n. 7, recante la nuova disciplina del mercato dell’oro, ha recepito le disposizioni della direttiva 98/80/CE del Consiglio, del 12 ottobre 1998, che prevede l’istituzione di un regime speciale IVA applicabile al commercio dell’oro.
In particolare le disposizioni di cui all’art. 1 della citata legge n. 7 del 2000, definiscono il termine “oro” distinguendolo in due tipologie: oro da investimento ed oro diverso da quello da investimento o industriale.
Coerentemente con i principi stabiliti dalla predetta Direttiva Comunitaria è previsto, all’art. 3, il regime di esenzione dall’IVA per le cessioni di oro da investimento di cui all’art. 10 , numero 11, del DPR n. 633 del 1972, e l’ordinario regime d’imponibilità per le cessioni di oro diverso da quello da investimento o industriale. In tale ultima ipotesi l’imposta è assolta con il particolare meccanismo del cosiddetto reverse charge disciplinato dall’art. 17, comma 5, del citato DPR n. 633, che pone a carico del cessionario, se soggetto passivo d’imposta residente nel territorio dello Stato, l’obbligo di corrispondere l’imposta per conto del cedente. Ciò al solo fine di evitare agli operatori del settore l’onere finanziario derivante dal pagamento dell’imposta per rivalsa ai fornitori o in dogana su importi di consistente valore.
Il citato meccanismo, infatti, impone al cessionario l’obbligo di integrare la fattura emessa senza addebito dell’imposta con l’indicazione dell’aliquota e dell’imposta, nonché di annotarla nei registri delle fatture emesse o dei corrispettivi (art. 23 e 24 del DPR n. 633 del 1972) entro il mese di ricevimento, ovvero anche successivamente, ma, comunque, entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese, e in quello degli acquisti (art. 25) per esercitare il diritto alla detrazione. In tal modo l’imposta sugli acquisti, non anticipata in via di rivalsa al cedente, concorre, in ogni caso, alla liquidazione periodica dell’imposta del cessionario, e figura sia come imposta a debito sia come imposta a credito, salvo le ipotesi in cui esistono dei limiti all’esercizio del diritto alla detrazione (cfr circolare 29 dicembre 1999, n. 247, risoluzione 26 ottobre 2001, n. 168).
Tanto premesso, è necessario chiarire se i rottami di oro ceduti alla società istante, rientrino o meno nella nozione di oro da investimento o in quella di materiale d’oro diverso da quello d’investimento, e se, in tale caso, ad essi sia applicabile il meccanismo del reverse charge.
In merito all’esatta nozione di “materiale d’oro” e di “prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi” contenuta nell’art. 17, comma 5, del DPR n. 633, cui è applicabile il meccanismo del reverse charge, come già chiarito in precedenza (cfr risoluzione 26 ottobre 2001, n. 168), si ritiene che con tale espressione il legislatore abbia inteso fare riferimento all’oro nella sua funzione prevalentemente industriale, ossia di materia prima destinata alla lavorazione, distinta, quindi, dall’oro da investimento di cui all’art. 1, comma1, let. a) della legge n. 7 del 2000.
L’Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.), a sua volta, è del parere che rientrano nella nozione di “materiale d’oro” tutte le forme di oro grezzo destinate ad una successiva lavorazione, e che la caratteristica di un “semilavorato” è costituita dall’essere un prodotto privo di una specifico uso e funzione, e cioè dall’impossibilità di utilizzare ex se il materiale o la lega d’oro, essendo necessario un ulteriore stadio di lavorazione o trasformazione che ne consenta l’utilizzo da parte del consumatore finale (cfr pareri dell’UIC reperibili sul sito
http://www.uic.it/).
Nel caso di specie, secondo quanto emerge dai dati dell’istanza d’interpello, i commercianti cedono alla società istante esclusivamente i rottami d’oro che non sono più idonei al consumo finale, mentre vendono direttamente ai consumatori finali gli oggetti preziosi non avariati ed in buono stato.
La scrivente ritiene, pertanto, che la predetta vendita di rottami di gioielli d’oro, in sé non suscettibili di utilizzazione da parte del consumatore finale, ad un soggetto che non li destina (né può destinarli) al consumo finale, ma li impiega in un processo intermedio di lavorazione e trasformazione, possa essere assimilata a cessione di materiale d’oro o semilavorato
In conclusione, considerato che la XW SpA, così come emerge dai dati contenuti nell’istanza, opera esclusivamente nel settore del recupero dei metalli preziosi e non svolge attività di commercializzazione di gioielli, l’imposta sugli acquisti di rottami di gioielli d’oro, destinati ad essere sottoposti al procedimento industriale di fusione e successiva affinazione chimica per il recupero del materiale prezioso ivi contenuto, può essere assolta mediante la particolare procedura prevista dall’art. 17, comma 5, del DPR n. 633 del 1972, nel rispetto degli adempimenti ivi previsti, senza per questo incorrere nella violazione di cui all’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997.

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Da una prima lettura del testo è chiaro l'intento della società istante, ovvero richiedere un chiarimento in merito ad alcune procedure fiscali riguardo determinati tipi di cessione, difatti leggiamo:“In particolare, a seguito dello sviluppo del mercato del c.d. “compro oro”, i commercianti all’ingrosso e/o al dettaglio di preziosi acquistano da privati oggetti d’oro e d’argento usati, per poi rivenderli, sotto forma di rottami di gioielli d'oro, verghe aurifere o, comunque, oggetti destinati alla fusione, a soggetti che, come la XW SpA, operano nel settore dell’affinazione e del recupero dei metalli preziosi. Tanto premesso la società chiede se sia possibile applicare ai suddetti acquisti il meccanismo del reverse charge di cui all’articolo 17, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (ossia l’emissione della fattura senza IVA da parte del commerciante e la successiva integrazione da parte della società acquirente), senza, per questo, incorrere nella previsione sanzionatoria di cui all’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (ricevimento di fatture d’acquisto prive dell’imposta).”

Come visto XW S.p.A., richiede se sia possibile acquistare da “commercianti all’ingrosso e/o al dettaglio di preziosi che acquistano da privati oggetti d’oro” oggetti quali “rottami di gioielli d'oro, verghe aurifere o, comunque, oggetti destinati alla fusione”, potendo applicare alle predette cessioni il particolare meccanismo del reverse charge. La Risoluzione conferma la leicità del metodo affermando che “può essere assolta mediante la particolare procedura prevista dall’art. 17, comma 5, del DPR n. 633 del 1972 (reverse charge), nel rispetto degli adempimenti ivi previsti, senza per questo incorrere nella violazione di cui all’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997.

Il parere dell’Agenzia delle Entrate, come visto, conferma quanto dedotto dalla XW S.p.A., risultando del tutto evidente il carattere squisitamente fiscale della Risoluzione. La XW S.p.A. descrive genericamente come propri cedenti “commercianti all’ingrosso e/o al dettaglio di preziosi che acquistano da privati oggetti d’oro” senza aggiungere altro, senza richiedere se questi debbano essere in possesso delle autorizzazioni previste dalla legge per chiunque effettui cessioni di beni ad uso industriale come i rottami auriferi o, addirittura, verghe aurifere, ed infatti la Risoluzione non entra nel merito.

La stessa Risoluzione però ci conferma un dato estremamente importante, dichiarando espressamente che i "rottami di gioielli" rientrano nella nozione di "materiale d’oro" così come definito dalla legge 7/2000, ed infatti leggiamo: “L’Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.), a sua volta, è del parere che rientrano nella nozione di “materiale d’oro” tutte le forme di oro grezzo destinate ad una successiva lavorazione, e che la caratteristica di un “semilavorato” è costituita dall’essere un prodotto privo di una specifico uso e funzione” Dichiarando altresì che La scrivente ritiene, pertanto, che la predetta vendita di rottami di gioielli d’oro, in sé non suscettibili di utilizzazione da parte del consumatore finale, ad un soggetto che non li destina (né può destinarli) al consumo finale, ma li impiega in un processo intermedio di lavorazione e trasformazione, possa essere assimilata a cessione di materiale d’oro o semilavorato

Come visto i “rottami di gioielli” sono da considerare a tutti gli effetti “materiale d’oro” nella dizione contemplata dalla legge 7/2000 all'art. 1, comma 1, lettere a) e b). La stessa legge che impone a chiunque effettui il commercio di questo materiale, l’iscrizione all'"Albo degli operatori professionali in oro" (art,1 comma 3 Legge 7/2000). L’ex Ufficio Italiano Cambi aveva tralaltro provveduto ad emanare, a suo tempo, un documento esplicativo della Legge 7/2000 intitolato “Chiarimenti in materia d’oro” del 20/06/2001, in cui espressamente dichiarava:
“Nel definire l'oro oggetto della legge, il legislatore fa espresso riferimento all’ “oro da investimento" ed al “materiale d'oro” (art. 1, comma 1, lett a) e b). Quest'ultima espressione sembra riferirsi non ad un qualsiasi materiale d'oro, ma a quello “ad uso prevalentemente industriale”. Si ritiene, infatti, che nel caso in specie il legislatore abbia inteso fare riferimento all'oro nella sua funzione industriale ossia di materia prima destinata alla lavorazione e, quindi, per tale sua vocazione distinta dall'oro da investimento di cui all'art. 1, comma 1, lett. a) della legge. Rientrerebbero, pertanto, nella nozione di materiale d'oro, di cui alla all'art. 1, comma 1, lett. b) della legge, tutte le forme di oro grezzo, non ricadenti nel concetto di oro da investimento, destinate ad una successiva lavorazione (ad es. lingotti, placche, verghe, bottoni, granuli, polveri), così come i semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi. Resterebbero, invece, esclusi i gioielli, i monili e più in generale, gli oggetti d'oro suscettibili di consumo finale.Va, infatti, ricordato che il commercio di questi ultimi è distintamente disciplinato, sempre per finalità di contrasto al riciclaggio, dal D.lgs. n. 374/1999.”

Lo stesso documento, anche in funzione antiriciclaggio, identifica le caratteristiche a cui un'azienda deve aderire per poter effettuare il commercio di preziosi: “acquisto di oggetti preziosi avariati, destinati alla fusione, e successiva cessione dell’oro così ottenuto, in una qualunque delle forme in uso (lingotti, placchette, etc.). L'operatività in questione, esercitata in via professionale e non occasionalmente, deve ritenersi riconducibile, sia per gli aspetti soggettivi che oggettivi, nel disposto di cui alla Legge n. 7/2000.”Pertanto essere qualificati come "operatori professionali", diversamente nel caso di commercio di oggetti finiti, specifica che:
“acquisto di oggetti preziosi usati, direttamente da privati, e rivendita degli stessi, senza ulteriore trasformazione. Detta attività non è qualificabile ai sensi dell'art. 1, comma 3, della Legge 17/1/2000, n. 7; essa si configura, infatti, come commercio di prodotti finiti che non rientrano nella definizione di "oro" contenuta nell'art. 1, comma 1, della stessa Legge;”
Per questo tipo di attività non è necessaria l'iscrizione all'albo degli "operatori professionali" e, sui predetti oggetti, dovrà essere applicata l’IVA ordinaria o a margine, come previsto per gli oggetti finiti.


Alla luce di quanto esposto risulta estremamente chiara la giusta collocazione in cui va inserita la Risoluzione oggetto del presente esame. E risultano del tutto evidenti le seguenti conclusioni:
A) La Risoluzione è scaturita da un quesito che richiedeva unicamente la possibilità di applicazione del meccanismo reverse charge sulle cessioni di materiale d’oro, concedendo questa possibilità.
B) La risoluzione stabilisce che i "rottami di gioielli usati", rientrano nella nozione di "materiale d’oro" come specificato dalla legge 7/2000;
C) La Risoluzione non autorizza il commercio di rottami auriferi o, addirittura, verghe aurifere, qualificabili anche alla luce di detta risoluzione come “materiale d’oro”, i soggetti sprovvisti dei requisiti imposti dall’art 1 comma 3 Legge 7/01/2000.

domenica 2 agosto 2009

Chiusa l'inchiesta sul contrabbando di oro tra Italia e Svizzera

Il pubblico ministero di Como Mariano Fadda ha depositato gli atti relativi all'inchiesta su un vasto giro clandestino d’oro tra l'Italia e la Svizzera, in cui compariva anche il nome dell’ex dirigente di Banca Ticinese Nicola Bravetti. Un’indagine durata anni e culminata nel 2008 con la scoperta di un contrabbando clandestino di 53 chili del prezioso metallo giallo dal Ticino alla Lombardia. Gli avvocati difensori delle parti potranno ora accedere alla documentazione raccolta e procedere con le relative osservazioni. Spetterà quindi al magistrato decidere se e come rinviare a giudizio le diverse persone finite nel registro degli indagati.

L’ultimo maxi sequestro d’oro, che risale a fine gennaio, viene alla luce soltanto ora. Si tratta di 24 chili che i finanzieri hanno prelevato dalla Euromet S.r.l. di Arese, in provincia di Milano. Lingotti purissimi che, secondo gli inquirenti, erano in magazzino senza che vi fosse documentazione fiscale che ne giustificasse la presenza. L’amministratore della società è stato indagato con l’accusa di riciclaggio.
Le fiamme gialle erano arrivate alla S.r.l. di Arese indagando su un precedente sequestro d’oro, 16 chili trovati a bordo dell’auto del direttore generale della Argor-Heraeus, una delle più conosciute aziende orafe operanti a cavallo tra Italia, Svizzera e Germania. Il manager era stato fermato, sempre a gennaio, a Ronago a soli 200 metri dalla dogana. Ai finanzieri non aveva detto che, nel bracciolo centrale dei sedili posteriori, aveva lamine d’oro. Solo dopo la scoperta aveva mostrato dei documenti di trasporto che, ne sono convinti gli inquirenti, erano stati realizzati ad hoc in caso di intercettazione da parte delle forze dell’ordine. La merce, secondo quanto ricostruito, arrivava dalla Monte Generoso S.p.A. di Cislago (Varese), altra importante azienda orafa dopo che, il giorno precedente il sequestro, sarebbe stata ritirata alla Euromet di Arese.

Il duplice sequestro di gennaio segue altri tre blitz compiuti tra settembre e ottobre sempre dal nucleo di polizia tributaria di Como in varie zone d’Italia. Il tutto coordinato dal pubblico ministero Mariano Fadda, già titolare di un analogo fascicolo su contrabbando d’oro che tra fine 2006 e inizi 2007 aveva portato a due sequestri di 35 chili in lingotti l’uno. Particolari che fanno lecitamente ipotizzare l’esistenza di una maxi inchiesta su un vasto giro clandestino d’oro tra Italia e Svizzera e viceversa. In sintesi: il 20 settembre le fiamme gialle avevano fermato a Binasco, non lontano dallo svincolo della A7 Milano-Genova, un insospettabile 48enne di Monguzzo. Trasportava a bordo della sua Honda Crv lingotti e fogli d’oro per un peso totale di 53 chili. Un mese più tardi nel Pavese erano stati "pizzicati" altri 22 chili a un uomo di Uggiate Trevano. La settimana successiva i finanzieri avevano intercettato a Genova altri 15 chili, trovati sull’auto di un 62enne di Appiano Gentile, in viaggio con la figlia.
Fatti due conti tra lingotti e fogli d’oro le fiamme gialle e la procura hanno sequestrato in sei mesi 130 chili di metallo prezioso, per un valore stimato in circa due milioni e mezzo di euro. Un piccolo Klondike su cui la magistratura ha messo gli occhi da tempo.

Tratto da:
http://www.cdt.ch/ticino-e-regioni/cronaca/9160/contrabbando-d-oro-indagini-chiuse.html
http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Homepage/97627/

giovedì 30 luglio 2009

Lettera

Questa mail inviataci (tra le tante!) da un lettore ci offre lo spunto per alcune riflessioni.

"Spett.le oro-mercato,
ho aperto un negozio compro oro nel 2006 vendendo ad una società di Vicenza che mi comprava la merce con lettera d’intento e poi verso fine anno mi pagava l’iva che poi io versavo. Scrivevo sulla fattura “cessione di oreficeria usata e rottami in lega d’oro” e l’iva non mi veniva accredita con l’art. 8.
Ho interrotto i rapporti con questa società perché mi pagavano la merce solo dopo alcuni giorni e trattenevano un percentuale di 70 centesimi sotto la quotazione e quindi mi sono rivolto ad un'altra società che non era un operatore professionale e che poi lo è diventata. Sulle fatture scrivo “rottami di gioielli” non imponibili IVA ai sensi dell’art. 17 comma 5-633/77. Questa società che adesso è una spa mi paga qualcosa di più e mi da i soldi subito. Il mio commercialista quando gli ho portato il vostro articolo sull’oro e la legge si è informato e mi ha detto che effettivamente era corretto che io vendessi come prima alla società di Vicenza, e che è poco prudente continuare a vendere a questa nuova con l’articolo 17. Cosa succede se continuo a vendere a con l’articolo 17? Cosa fare per evitare i controlli della Guardia di finanza? Mi conviene chiudere la società e riaprirne una nuova?
Grazie"


Gentile utente,
noi di certo non siamo nelle condizioni di poterle suggerire cosa fare della sua ditta, poiché ben sappiamo che spesso avviare una nuova attività non è cosa semplice, comporta sacrifici ed investimenti non indifferenti e pertanto non ci sentiamo, da un punto di vista strettamente deontologico, di suggerirle di chiudere l’azienda su cui lei certamente ha investito risorse umane ed economiche. Allo stesso modo non potrà in alcun modo sottrarsi alle eventuali verifiche da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto le procedure di verifica, fin d’ora realizzate a campione, hanno investito tutti gli operatori professionali che hanno dovuto depositare i propri elenchi clienti, quindi i dati delle aziende cedenti. Il presente blog, è bene rammentarlo, nasce dall’esigenza di essere coerenti con le leggi e non vuole essere uno strumento per raggirarle. Pertanto ci sentiamo in dovere di suggerirle di parlare con il suo commercialista e, insieme, affrontare provvidamente i vari problemi che attualmente ha evidenziato. Tornando alla sua lettera, certamente le cessioni con l’articolo 17 non poteva e non può effettuarle, poiché sottintendono che la natura delle sue vendite hanno come oggetto il “materiale d’oro” cui soltanto gli “operatori professionali in oro” sono titolati al commercio. L’art. 17 comma 5 legge 633/77, permette di assolvere l’IVA a mezzo di quel meccanismo comunemente denominato “Reverse Charge” che consente, alla parte cedente, di emette fattura senza IVA. La parte cessionaria, che assume la veste di debitore d’imposta, dovrà adempiere agli obblighi di integrazione della fattura rilasciata dal cedente con relativa indicazione concernente l’aliquota e il relativo importo dell’imposta.

Questo meccanismo, comunque, non la riguarda poiché per effettuare il commercio di "rottami d'oro" è necessario aderire ai requisiti imposti dall' art. 1 comma 3 legge 7/2000 e, pertanto, non essendo la sua azienda qualificabile come "operatrice professionale", può commerciare esclusivamente oggetti finiti. A suo giudizio, perché l’azienda a cui cede i propri beni ha deciso di “trasformarsi” in S.p.A., e perché lei invece continua a vendere alla stessa azienda con le medesime procedure di prima? Glielo spiego subito. Come avrà senz'altro notato ultimamente molte aziende che prima acquistavano dai compro oro (spesso franchisor), si sono trasformate in operatrici professionali. Questo è dovuto al fatto che, rendendosi conto di non poter vendere i noti "rottami" d'oro alle fonderie senza essere operatori professionali, e al fine di poter continuare ad assolvere al loro ruolo di intermediari tra i commercianti(NB:avendo i medesimi requisiti degli stessi!) dovevano:
1) cancellare il proprio storico commerciale;
2) regolarizzarsi con la Legge 7/2000.

Questo mutamento societario, spesso giustificato con un entusiastico “è perché stiamo crescendo!” in realtà cela la necessità di porsi in regola, lasciando però i propri clienti nelle analoghe condizioni in cui loro stesse soggiacevano fino al mutamento in S.p.A. o S.r.l.. Per acquistare questi beni senza corrispondere IVA, hanno però bisogno che i "compro oro" dichiarino che la natura della cessione abbia come oggetto i "rottami auriferi". Il "compro oro", investito in toto delle responsabilità amministrative e penali derivanti dall'alterazione della natura dei beni al fine di evadere l'IVA, è quindi spinto a descrivere gli oggetti, in realtà finiti, come "rottami" ed apporre sulle fatture la famosa dicitura "non imponibile IVA ai sensi dell'art. 17 comma 5 DPR 633/77", consentendo all'intermediario di acquistare senza versare un centesimo di IVA al proprio cedente, e a rivendere gli stessi beni sempre in esenzione IVA, grazie all'originaria e mendace descrizione dei beni effettuata dal "compro oro".

Il consiglio è quello di non cedere più con l’art. 17 e di qualificare gli oggetti per quello che realmente sono, poiché per ogni fattura emessa con questo sistema, lei accrescerà la base sulla quale andranno calcolate le eventuali sanzioni. E’ bene ricordare infatti, che l’evasione fiscale é disciplinata dal decreto legislativo 74 del 2000 (in materia di imposte sui redditi e di IVA) pertanto chi supera nella sua complessità i 50.000 euro, il provvedimento si trasforma in reato (da sei mesi, a due anni di reclusione) e che la sanzione pecunaria verrà calcolata per il 200% dell’evaso, oltre le altre sanzioni amministrative.

martedì 28 luglio 2009

Dall'oro al ferro...

Da una sorta di pietra filosofale invertita, prendendo spunto dalle indagini in corso della Guardia di Finanza sugli esercizi commerciali comunemente denominati "Compro Oro", dove gli oggetti preziosi usati venivano qualificati "rottami" al fine di consentire l'emissione di fattura senza IVA in spergio inoltre delle disposizioni contemplate dall'art. 1 comma 3 legge 7/2000, è stata scoperta una maxi evasione da un miliardo di euro in provincia di Agrigento.

Nella rete delle Fiamme gialle del Nucleo di polizia tributaria del comando provinciale, sono finiti 120 imprenditori di Ravanusa e Canicatti', attivi nel settore del commercio di metalli e rottami ferrosi. Segnalata all'Agenzia delle entrate la frode relativa alla mancata denuncia della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e all'Iva non corrisposta all'erario. Gli imprenditori sono stati deferiti per dichiarazione fraudolenta e per emissione di fatture per operazioni inesistenti. Recentemente un'altra societa', con sede nel comprensorio di Ravanusa e operante anche questa nella commercializzazione di rottami ferrosi, e' finita nel mirino delle Fiamme gialle. L'attivita' di verifica ha permesso di accertare e segnalare all'Agenzia delle entrate, per il recupero a tassazione, ricavi sottratti al fisco per oltre 80 milioni di euro e omesso versamento dell'Iva e dell'Imposta sulle attivita' produttive per oltre 15 milioni di euro. anche in questo caso e' stato scoperto un sistema che ricalca la tecnica dell'utilizzo della cosiddetta "societa' cartiera" costituita ad hoc e priva di qualsiasi struttura economica-imprenditoriale, che ometteva la presentazione delle dichiarazioni obbligatorie provocando, tra l'altro, una cioncorrenza sleale. L'azienda cosi' costituita avrebbe permesso, quindi, l'immissione nel mercato di materiale ferroso "in nero" determinando, per il successivo anello della catena commerciale, la necessita' di documentare gli acquisti in nero e quelli fittizi per giustificare le cessioni alle acciaierie, ovvero all'ultimo anello della catena.

giovedì 23 luglio 2009

Precisazioni...

Molti di voi ci scrivono per avere delucidazioni in merito alle leggi che regolamentano il commercio di preziosi, specialmente quelle riguardanti l’IVA e la sua applicazione sulle cessioni effettuate ai grossisti. E’ lo scopo di questo Blog e siamo davvero felici di poter effettuare questo servizio gartuitamente e, soprattutto, della risposta che stiamo ottenendo in termini di contatti…anche se ci piacerebbe che magari vi iscriveste tra i sostenitori!

Quello che però vorremmo sottolineare è che NON effettuiamo commercio di preziosi, quindi, per favore, non chiedeteci di comprare i vostri gioielli! Quello che vorremmo specificare, al fine di evitare fraintendimenti, è che questo Blog è nato per fornire appunto tutte le informazioni necessarie ai commercianti per evitare di incorrere in sanzioni a causa di cattivi consiglieri, quindi fornire, gratuitamente, una somma di consigli fiscali e amministrativi.

Ciò che possiamo fare è verificare se i vostri metodi operativi sono corretti, se le aziende a cui cedete i beni preziosi acquistano rispettando la legge, tentare di risolvere i vostri dubbi in materia e quant’altro. Nella speranza di essere stati sufficientemente chiari, come sempre un in bocca al lupo e buon lavoro e, per chi già riposa, buone vacanze!

mercoledì 22 luglio 2009

Oro oltre i 1200$?

Secondo Feng Zhijian, presidente onorario della Chinese Gold&Silver Exchange Society, il prezzo dell'oro potrebbe arrivare a toccare quota 1.200 dollari l'oncia nei prossimi due anni. Lo ha detto nel corso di una conferenza a Shanghai spiegando che il metallo giallo potrebbe avvantaggiarsi di due fattori: la recessione globale e l'instabilità politica in alcune parti del mondo.

Restano, a parere del sottoscitto, tutte le perplessità possibili nei confronti di affermazioni del genere, atte prevalentemente ad attirare ulteriormente l'attenzione degli investitori nei confronti dei metalli preziosi, primo tra tutti l'oro.

Non è un mistero la ricercatezza di certificati garantiti da riserve d'oro, così come invece è un mistero il fatto che siano stati emessi per cento volte di più dell'oro fisico che dovrebbero garantirli...Comunque questa è la nuova finanza, che piaccia o meno, ed ormai siamo abituati ai vari eventi catastrofici innescati da operazioni che definire spericolate è poco.

Consideriamo inoltre che dal mese di aprile le riserve auree cinesi sono aumentate passando da 600 tonnellate della fine di marzo, a 1.054 tonnellate, con un aumento del 75%. Non è difficile immaginare da parte di Zhijiang un interesse nei confronti di plusvalenze derivate da affermazioni sensazionalistiche come le sue.

Comunque venendo ai fatti concreti e tralasciando gli intenti puramente speculativi dei signori come quello di cui sopra, questo aumento del valore dell'oro fino non può che continuare a danneggiare, anche in modo irreversibile, le aziende orafe italiane che, a causa del costo elevato delle materie prime, non riescono a riallacciare un contatto con la clientela, ormai apparentemente rivolta verso i bijoux in acciaio, anche se rivenduti a caro prezzo e dal valore intrinseco pari a zero.

mercoledì 1 luglio 2009

A chi cedere i preziosi?

I miei gioielli usati, a chi li vendo?
I Gioielli usati possono essere venduti al minuto o all’ingrosso.
Al minuto, rivendendoli all’interno dei propri locali, all’ingrosso cedendo i propri beni ad altre aziende quali gioiellerie, distributori e operatori professionali.
I nostri gioielli possono essere ceduti singolarmente o in massa. La fattura deve essere emessa con l’aliquota IVA ordinaria (20%), oppure beneficiando del regime speciale del margine con sistema globale, come concesso per le cessioni aventi per natura beni usati. Infatti questa procedura, a differenza delle altre, consente che il margine venga determinato per masse di operazioni, ovvero globalmente per tutte le vendite effettuate per ciascun mese o trimestre (Art. 36, comma 6).
Per poter effettuare vendite con IVA a margine è necessaria, oltre il già previsto registro del commercio vidimato dalla P.S., l’istituzione di altri due registri, rispettivamente degli acquisti e delle cessioni, come già abbiamo affrontato più dettagliatamente nel post “Il Regime speciale del Margine”.
Molti mi chiedono che cosa siano le cessioni effettuate con "dichiarazione d’intenti", o meglio se siano legittime o meno. Queste cessioni sono effettuate con fattura in cui l’aliquota IVA non è versata, poiché il cessionario (il soggetto che acquista) è qualificato come “esportatore abituale”. Questi esportatori godono di una riserva, comunemente denominata plafond , che consente di non pagare l’IVA fino ad un determinato importo, calcolato sul fatturato delle cessioni alle esportazioni riferite all’anno precedente. Le cessioni di preziosi effettuate nei confronti di questi soggetti sono considerate cessioni all’esportazione, quindi non imponibili. La motivazione risiede nel fatto che tali soggetti non hanno la possibilità di rivalersi dell’imposta presso i loro clienti esteri, mentre acquistando da fornitori italiani possono detrarsi l’IVA sugli acquisti, il tutto porta loro ad essere in una posizione di costante credito IVA. Per evitare questa problematica l’esportatore abituale può richiedere ai suoi fornitori di non applicare l’IVA nei limiti del plafond. Il cessionario rilascerà una "dichiarazione d’intenti", in cui si asume la responsabilità di poter effettuare acquisti senza corrispondere IVA (art. 8 co. 1 lett. a e b del DPR 633/72).
Il 20% dell’IVA che doveva essere corrisposta in fattura al cedente, viene pertanto detratta dal plafond, il quale andrà via via riducendosi e, una volta terminato, consentirà al cessionario di tornare ad effettuare acquisti versando l’IVA nei metodi ordinari. Pertanto la prassi è da ritenenersi, per i soggetti aventi diritto, assolutamente legittima.

martedì 30 giugno 2009

COMPRO ORO: ingrosso o minuto?

In questo tempo in cui sembra esserci del fuoco a covare sotto la cenere, sarebbe bene rivedere le politiche inerenti le cessioni.
Un "compro oro", può rivendere i propri beni all’interno dei locali adibiti al ritiro dei gioielli usati, fermo restando la disponibilità della licenza e dell’iscrizione alla Camera di Commercio, ove risulti operante il commercio al minuto. All’interno dei medesimi locali infatti, non può essere svolta l’attività di commercio al minuto e all’ingrosso promiscuamente come definito dal D.LGS 114/98 il quale specifica "E' vietato esercitare congiuntamente nello stesso punto vendita le attività di commercio all'ingrosso e al minuto".
Pertanto si è obbligati a scegliere una politica aziendale coerente con il proprio tipo di attività. Come faccio a determinare se la mia attività è configurabile come commercio al minuto o all’ingrosso? Basta calcolare il fatturato delle cessioni. Se le cessioni effettuate all’ingrosso rappresentano la parte maggiore della mia attività, è chiaro che non posso richiedere oppure effettuare commercio al minuto (nei medesimi locali) e viceversa.
Vediamo un esempio pratico: ho una licenza di rivendita al minuto, il fatturato della mia ditta è stato per un anno pari ad € 10.000, di cui 8.000 fatturati ad altro commerciante a cui rivendo i miei gioielli usati e, i restanti 2.000, li ho fatturati rivendendoli al minuto. E’ chiaro che questo tipo di attività rientra nella categoria del commercio all’ingrosso e, pertanto, il commerciante deve regolarizzarsi recedendo la licenza al minuto a favore di quella all’ingrosso.

Alcuni "Compro oro" espongono vetrine delle occasioni al fine di rivendere i propri beni al minuto, ma la fetta maggiore del proprio fatturato è svolto all'ingrosso. Come fanno ad avere la licenza per la vendita al minuto e non all'ingrosso? E' chiaro che una delle due attività è svolta abusivamente.

"Compro oro" truffa sull'IVA

FONTE: Repubblica — 10 giugno 2009 pagina 11 sezione: BARI
UN' ISPEZIONE fiscale dei finanzieri in alcuni esercizi commerciali del barese specializzati nell' acquisto di oro e argento usato, ha portato alla scoperta di una maxievasione di circa 1 milione di euro di Iva. I militari della guardia di finanza hanno controllato una catena di esercizi a Monopoli, Conversano e Polignano a Mare, e scoperto che gli esercizi acquistavano gli oggetti in oro dai privati cittadini come se si trattasse di merce da rottamare, beneficiando così (gli oggetti preziosi sono assoggettati al pagamento dell' Iva) di una totale esenzione in materia di imposta sul valore aggiunto.

sabato 27 giugno 2009

Il "Regime Speciale del Margine" applicato alla cessione di oggetti preziosi

Il regime speciale IVA del margine, introdotto con direttiva CE n. 5/94, recepita dal D.L. n° 41 del 23/02/1995, è l’imposta applicata alle transazioni di beni appartenenti a particolari categorie e consiste nell’assoggettare a IVA la sola differenza tra il costo sostenuto dall’impresa per acquistare il bene e il corrispettivo di rivendita, così da evitare una duplicazione d’imposta.
Esso può essere applicato solo da coloro che esercitano, abitualmente o occasionalmente, il commercio di beni usati, di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, relativamente agli acquisti effettuati senza applicazione dell’IVA, cioè da privati cittadini, in Italia o nell’Unione Europea. L’articolo 36 del DL 41/95 individua tre diverse modalità di applicazione dell’imposta: ordinario o analitico, forfetario o percentuale, e globale.
1) REGIME DEL MARGINE CON IL SISTEMA ORDINARIO ANALITICO, dove la base imponibile su cui calcolare l’imposta viene determinata per ogni bene compravenduto (Art. 36, comma 1 D.L. n° 41/95).
2) REGIME DEL MARGINE CON SISTEMA GLOBALE, dove la base imponibile viene determinata periodicamente e per masse di operazioni (Art. 36 comma 6).
3) REGIME DEL MARGINE CON SISTEMA FORFETARIO, dove la base per il calcolo dell’imposta viene determinata in una precisa porzione percentuale del prezzo di vendita (Art. 36 comma 5).
Chi acquista oggetti preziosi usati in lega d’oro, e li rivende in massa, potrà applicare il regime speciale del margine con sistema globale. Infatti questa procedura, a differenza delle altre, consente che il margine venga determinato per masse di operazioni, ovvero globalmente per tutte le vendite effettuate per ciascun mese o trimestre (Art. 36, comma 6).
Dal margine positivo dovrà essere scorporata l’IVA a debito, mentre l’eventuale margine negativo costituirà un credito di margine, di cui si potrà beneficiare nel periodo d’imposta successivo.
Per quanto riguarda la documentazione degli acquisti effettuati da privati, alla luce delle pronunce ministeriali emanate in materia (C.M. 70 del 8/11/1973 e R.M. 9/2270 del 20/01/1981) si ritiene che l’impresa che effettui acquisti di beni presso soggetti privati debba istituire un apposito registro, bollato e numerato prima dell’uso, in cui annotare tutti gli acquisti della specie. Tale registro costituirà la base per superare la presunzione di acquisto (Art. 53 DPR 633/1972) e per documentare la deduzione del costo.
Per quanto riguarda le vendite, dovrà altresì essere predisposto un registro delle cessioni con l’indicazione della data, natura, qualità e quantità dei beni e dei relativi corrispettivi al lordo dell’imposta. Lo stesso fungerà per effettuare lo scorporo e determinare quindi l’aliquota IVA da corrispondere all’erario.
L’imposta per le cessioni effettuate beneficiando del regime speciale del margine globale, ricade tra i costi del cedente e non del cessionario. Pertanto chi effettua vendite in massa di oreficeria rivendendo i propri beni alle aziende specializzate nel recupero di metalli preziosi, dovrà considerare questo costo, che non potrà recuperare, come mancato guadagno diviso per i grammi di oreficeria ceduti.
Per la caratteristica del regime del margine globale che non consente di recuperare l’IVA, da un punto di vista economico è maggiormente conveniente il sistema IVA ordinario, poiché in quest’ultimo caso l’IVA non è un costo né per il cedente né per il cessionario, ma neutra. Ovviamente l’applicazione del regime ordinario è possibile se il cessionario è disposto a corrisponderla al cedente, quindi ad esporsi con la liquidità.
Come visto, chi effettua il commercio all’ingrosso di gioielleria usata e intende avvalersi facoltativamente del regime speciale del margine globale, anziché dell’ordinario è tenuto, oltre all’istituzione degli appositi registri precedentemente descritti, alla comunicazione IVA annuale specificando l’intenzione di volersi avvalere del suddetto regime speciale.
E’ pertanto evidente che la cessione di oreficeria usata può essere facoltativamente effettuata applicando o il regime ordinario o del margine globale, quindi due distinte procedure per l’assolvimento dell’IVA. E’ logico supporre che non essendo d’obbligo l’applicazione del regime speciale per la cessione di beni in massa, il cedente che non ha effettuato la comunicazione preventiva all’ufficio IVA e quindi sprovvisto dei registri di cui sopra, in caso di omessa applicazione di uno dei due regimi IVA applicabili, potrà essere contestato per la mancata applicazione dell’aliquota IVA ordinaria sull’intero corrispettivo e non sul margine.
Spesso chi cede oreficeria usata in modo fraudolento descrive nelle fatture di vendita la merce qualificandola come rottame anziché oreficeria usata per poter applicare il regime di non imponibilità IVA a norma dell’Art. 17 comma 5 Legge n. 633/77.

Acquisto preziosi "On line"?

Gli esercenti specializzati nell’acquisto di oggetti preziosi usati, sono tenuti a compiere le operazioni all’interno dei locali autorizzati all’uopo dall’autorità di Pubblica Sicurezza. Infatti sull’autorizzazione, oltre ad essere riportati i dati anagrafici dell'esercente, viene descritta l’ubicazione del locale destinato a questo commercio. Ciò significa che le operazioni compiute, dovranno necessariamente essere svolte all’interno di suddetto locale che, a tal proposito, dovrà corrispondere alle norme di Pubblica Sicurezza stabilite per gli esercizi commerciali che trattano preziosi. Questo esclude la possibilità di concludere le operazioni con soggetto privato a distanza, ovvero compiere l’acquisto di oggetti preziosi usati a mezzo postale. Infatti, oltre ad essere compiuta al di fuori dei locali autorizzati, il cessionario non ha alcuna possibilità di verificare le generalità del soggetto cedente, la veridicità dei dati dichiarati (sedicenti) e la validità o l'effettiva esistenza dei documenti che il venditore dichiara, senza alcuna prova, di possedere. L'obbligo di compiere tali operazioni in presenza di entrambe i soggetti (cedente e cessionario) sono da ritenersi necessarie anche in funzione antiriciclaggio. A tal proposito in seguito alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n° 82 del 07.04.2006 del Decreto n° 173/2006 e del relativo provvedimento dell’ex Ufficio Italiano Cambi, sono state rese operative le disposizioni in materia di antiriciclaggio previste dal D.Lgs. 20/2//2004 n. 56 in attuazione della direttiva 2001/97/CE. Pertanto chiunque svolge le seguenti attività:
1) commercio, comprese l’esportazione e l’importazione, di oro per finalità industriali o di investimento in presenza della comunicazione UIC ai sensi dell’ art 1 legge 17.01.2000 n° 7;
2) fabbricazione, mediazione e commercio, comprese l’esportazione e l’importazione, di oggetti preziosi in possesso della licenza di cui all’ art. 127 del TULPS;

E' obbligato:
a) Identificare i clienti, tramite un documento valido e non scaduto, acquisendo i seguenti dati:
-Per le persone fisiche: nome e cognome, luogo e data di nascita, indirizzo residenza o domicilio, codice fiscale e numero di un documento di identificazione.
-Per i soggetti diversi dalle persone fisiche: la denominazione, la sede legale e il codice fiscale. Per questi soggetti è necessario verificare il potere di rappresentanza in base alla documentazione ufficiale fornita dal cliente (visure camerali, certificati di enti competenti, delibere consiliari o assembleari.


L'identificazione quindi deve essere compiuta de visu e non per autodichiarazione a distanza. Inoltre, fermo restando i reati di inottemperanza agli obblighi imposti dall'art. 128 del T.U.L.P.S., sono configurabili anche i reati correlati l'incauto acquisto e ricettazione come previsti dagli articoli 712 e 648 del Codice di Procedura Penale.

COMPRO ORO ED EVASIONE IVA

Negli ultimi anni il fenomeno dei negozi “Compro Oro” ha assunto proporzioni enormi, consentendo a questa idea commerciale di raggiungere ogni angolo del nostro Paese. Molte persone si sono lanciate in questa attività con improvvisazione e, troppo spesso, in spregio della Legge arrecando sia un danno all’erario, sia a chi opera in modo coerente con le stesse. Un mondo labirintico in cui il “metodo operativo” è un concetto astratto e dove la legalità non conosce patria. Adesso cerchiamo di capire, con qualche riga, alcuni semplici concetti che potranno meglio farci intendere ciò che l’onesto “commerciante di gioielli usati” dovrebbe compiere per poter operare lecitamente.

Il commercio di oro è regolamentato da un apposita normativa intitolata"Nuova disciplina del mercato dell'oro, anche in attuazione della direttiva 98/80/CE del Consiglio, del 12 ottobre 1998" emanata con Legge 17 Gennaio 2000, n. 7 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21 gennaio 2000, la quale stabilisce cosa debba intendersi per oro e quali sono i requisiti richiesti per effettuare tale commercio in via professionale. L’articolo 1 recita:"1. Ai fini della presente legge con il termine "oro" si intende:a) l'oro da investimento, intendendo per tale l'oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell'oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d'oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell'80 per cento il valore sul mercato libero dell'oro in esse contenuto, incluse nell'elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonchè le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla Commissione delle Comunità europee delle informazioni in merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri;b) il materiale d'oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza."

Sempre l’articolo 1 indica quali sono i requisiti necessari per poter effettuare il commercio di oro ovvero :"3. L'esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio o per conto di terzi, può essere svolto da banche e, previa comunicazione all'Ufficio italiano dei cambi, da soggetti in possesso dei seguenti requisiti:a) forma giuridica di società per azioni, o di società in accomandita per azioni, o di società a responsabilità limitata, o di società cooperativa, aventi in ogni caso capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni;" Il legislatore con questi articoli ha voluto non concedere dubbi sia su come identificare la natura dei beni che possono essere qualificati come oro, sia le caratteristiche che un azienda deve assumere per poter esercitare lecitamente tale commercio. Infatti stabilendo che le aziende siano configurate come “società per azioni, o società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperativa dotate di un capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni” esclude de facto le ditte individuali.

Altra condizione necessaria per commerciare in oro è la comunicazione, ed il rilascio di relativa autorizzazione, da parte della Banca d’Italia (rammento che dal 1 gennaio 2008 l’Ufficio Italiano Cambi è soppresso e le sue funzioni sono esercitate dalla Banca d’Italia -D.lgs. 21/11/2007 n. 231-) Come visto la legge è molto chiara riguardo le caratteristiche necessarie per effettuare tale commercio e sui requisiti imprescindibili che vengono posti a condizione di chiunque compia questa scelta aziendale.

Negli ultimi anni si è assistito ad una affermazione massiccia su tutto il territorio nazionale di negozi comunemente denominati “compro oro”, specializzati nell’acquisto di preziosi da parte di privati cittadini. Nulla vieta, anche al titolare di una ditta individuale, di acquistare oreficeria per poi successivamente rivenderla, sia all’ingrosso che al minuto, fermo restando i “paletti” imposti appunto dalla Legge 7/2000. Purtroppo però, moltissimi gestori di questi negozi, assumono in toto le funzioni e le competenze commerciali proprie di un operatore professionale, pur non attendendo minimamente ai requisiti imposti dalla legge, operando quindi in modo del tutto abusivo. Infatti l’abitudine invalsa, è quella di acquistare oggetti preziosi usati dai privati cittadini (o da altri compro oro) e rivenderli direttamente a fonderie o aziende specializzate nel recupero di metalli preziosi. Nulla potrebbe vietare questo comportamento se i beni ceduti fossero qualificati per quello che realmente sono, ovvero "oreficeria usata" quindi oggetti finiti, ma nella più ampia casistica vengono invece qualificati come "rottami". Questo espediente, di mutare arbitrariamente la natura dei beni, consente di eludere l’IVA beneficiando di quanto stabilito dalla Legge n. 633/77 articolo 17 comma 5 la quale contempla: “In deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all'articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d'oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell'imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d'imposta, con l'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l'indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l'indicazione dell'aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all'articolo 25” Con questo articolo di legge viene concesso al cedente di non corrispondere l'IVA in fattura, poichè i beni acquistati per loro stessa natura non possono avere altra destinazione che la lavorazione industriale. Beni quindi nettamente diversi dall'"oreficeria usata" che può invece avere infiniti cicli di vita e, conseguentemente, assoggettata al regime IVA ordinario.

Il gestore di un semplice “compro oro”, intenzionato ad operare secondo la legge, dovrebbe cedere i preziosi per quelli che realmente sono, ovvero oggetti finiti, specificando nella fattura la reale natura dei beni quindi "oreficeria usata" , ed applicare all’importo della fattura l’aliquota IVA ordinaria o, come concesso per i beni usati, a margine. Invece in molti casi l’operatore abusivo acquista i preziosi (non rottami) da privati cittadini e successivamente li rivende direttamente alle fonderie o altre aziende specializzate, attribuendo alla natura dei beni ceduti, sia sul Documento di Trasporto e poi sulla Fattura, la qualifica di "rottami" o simili. Anche il più sprovveduto dei revisori, operando una controllo, potrà domandarsi che fine abbiano fatto i preziosi acquistati dall’esercente e registrati regolarmente sul Registro del Commercio (es: 1 bracciale, 1 collanina etc.) e dove invece ha preso i rottami che dichiara di aver ceduto alla fonderia. Infatti i beni acquistati all’origine devono essere ceduti nello stato in cui si trovano, non potendo il semplice “compro oro” lavorare o trasformare gli oggetti preziosi, in quanto questa è una prerogativa riservata ai soli operatori professionali o laboratori specializzati.

Il concetto è questo: se mi tolgo una collana dal collo e la vendo, per quale motivo questa si trasforma in rottame? Riassumendo in poche righe il contenuto delle disquisizioni di cui sopra, deduciamo quindi che il semplice titolare di una ditta individuale, gestore di un "compro oro", non può assumere le attribuzioni di operatore professionale e commerciare in modo continuativo beni a carattere industriale quali appunto rottami o semilavorati. Così come non può alterare la natura dei beni (oreficeria usata) e trasformarla in "rottami" (operazione anch’essa riservata esclusivamente agli operatori professionali) con l’unico intento di evitare l’imposizione dell’IVA. L'Ufficio Italiano dei Cambi ha provveduto con la pubblicazione del documento esplicativo "Chiarimenti in materia d'oro" del 20/06/2001, a fare chiarezza a tal proposito confermando nettamente quanto esposto:"Per poter qualificare, ai sensi della Legge 17/1/2000, n. 7, il commercio di rottami di oro ed individuare gli eventuali obblighi gravanti su coloro che svolgono tale attività, si distinguono due modalità operative:

- acquisto di oggetti preziosi usati, direttamente da privati, e rivendita degli stessi, senza ulteriore trasformazione. Detta attività non è qualificabile ai sensi dell'art. 1, comma 3, della Legge 17/1/2000, n. 7; essa si configura, infatti, come commercio di prodotti finiti che non rientrano nella definizione di "oro" contenuta nell'art. 1, comma 1, della stessa Legge;

- acquisto di oggetti preziosi avariati, destinati alla fusione, e successiva cessione dell’oro così ottenuto, in una qualunque delle forme in uso (lingotti, placchette, etc.). L'operatività in questione, esercitata in via professionale e non occasionalmente, deve ritenersi riconducibile, sia per gli aspetti soggettivi che oggettivi, nel disposto di cui alla Legge n. 7/2000."

Come visto nel primo caso non è necessaria l'autorizzazione dell'U.I.C., trattandosi di commercio di "oggetti preziosi usati" e pertanto andrà applicata l'IVA sulle cessioni. Nel secondo caso, trattandosi di vendita di "rottami", è invece necessaria l'autorizzazione dell'Ufficio Italiano dei Cambi. Questo comporta necessaraiamente essere qualificati come operatori professionali, i soli titolati a poter effettuare questo tipo di commercio, e godere quindi della non applicabilità IVA sulle cessioni d'oro destinati alla fusione. Per chiarire ulteriormente la differenza concreta che intercorre tra l'"oreficeria usata" ed il "materiale d’oro" come i rottami, e la conseguente diversità nell’applicazione dell’IVA e pertanto a suffragio di quanto esposto, la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.375/E del 28/11/2002 ha affrontato la possibile applicazione del disposto del comma 5 dell'art. 17 nel settore commerciale dell'acquisto di oro usato. Nello specifico veniva considerato l’acquisto di materiale d’oro da parte di privati e poi rivenduto sotto forma di rottami di gioielli d'oro, a soggetti che operano nel settore del recupero dei metalli preziosi. La Risoluzione riportò quanto affermato dall’Ufficio Italiano Cambi e cioè che “rientrano nella nozione di "materiale d'oro" tutte le forme di oro grezzo destinate ad una successiva lavorazione, e che la caratteristica di un "semilavorato" è costituita dall'essere un prodotto privo di una specifico uso e funzione, e cioè dall'impossibilita' di utilizzare ex se il materiale o la lega d'oro, essendo necessario un ulteriore stadio di lavorazione o trasformazione che ne consenta l'utilizzo da parte del consumatore finale”. Quanto premesso la Risoluzione ritenne “che la predetta vendita di rottami di gioielli d'oro, in sé non suscettibili di utilizzazione da parte del consumatore finale, ad un soggetto che non li destina (né può destinarli) al consumo finale, ma li impiega in un processo intermedio di lavorazione e trasformazione, possa essere assimilata a cessione di materiale d'oro o semilavorato”. Ovviamente, come visto, per procedere alla vendita di suddetto materiale è necessario che il cedente sia autorizzato dalla Banca d’Italia e risponda ai requisiti previsti per gli operatori professionali dalla legge 7/2000. Quindi dimostrare che si opera esclusivamente nel settore del recupero dei metalli preziosi, ed infine beneficiare come contemplato nella succitata risoluzione, di quanto segue:“l'imposta sugli acquisti di rottami di gioielli d'oro, destinati ad essere sottoposti al procedimento industriale di fusione e successiva affinazione chimica per il recupero del materiale prezioso ivi contenuto, può essere assolta mediante la particolare procedura prevista dall'art. 17, comma 5, del DPR n. 633 del 1972.”.

Quanto stabilito dalla Risoluzione n.375/E del 28/11/2002 dell’Agenzia delle Entrate è rilevante, anche alla luce di un'altra Risoluzione, ovvero la n.161/E dell’11 novembre 2005. Questa infatti ha preso in esame la possibilità di ricomprendere nel requisito “oggettivo” anche montature di anelli o chiusure per collane e bracciali (manufatti), potendoli assimilare al concetto di "semilavorati" indicati nel comma 5 dell’art. 17. La Risoluzione evidenzia quanto sopra già illustrato ed osserva ulteriormente che “prodotti come le montature di anelli o le chiusure per collane e bracciali hanno completato il loro specifico processo produttivo e debbono essere considerati prodotti finiti e non materia prima destinata alla lavorazione”. Questi oggetti non necessitano “di una ulteriore lavorazione o trasformazione; l'attività di assemblaggio (per quel che concerne le chiusure di una collana o braccialetto) o di incastonatura (per ciò che riguarda la montatura di anelli) deve essere considerata un procedimento ben distinto dalla vera e propria trasformazione o lavorazione dei prodotti originari”. Considerato che i manufatti in oggetto non possono essere ricompresi nell'ambito dei semilavorati, si deve concludere che per essi "non possa trovare applicazione il meccanismo di cui all'articolo 17, comma 5; l'imposta, pertanto, deve essere assolta nei modi ordinari".

Sempre la Legge 7/2000 ci informa che: "Chiunque dispone o effettua il trasferimento di oro da o verso l'estero, ovvero il commercio di oro nel territorio nazionale ovvero altra operazione in oro anche a titolo gratuito, ha l'obbligo di dichiarare l'operazione all'Ufficio italiano dei cambi, qualora il valore della stessa risulti di importo pari o superiore a 20 milioni di lire. All'obbligo di dichiarazione sono tenuti anche gli operatori professionali di cui al comma 3, sia che operino per conto proprio, sia che operino per conto di terzi. Dalla presente disposizione sono escluse le operazioni effettuate dalla Banca d'Italia." Questo significa che i soggetti che svolgono il commercio di "materiale d'oro", quali "rottami" o "semilavorati", sono obbligati alla dichiarazione all'Ufficio Italiano dei Cambi (oggi Banca d'Italia) di tutte le operazioni quali trasferimenti e cessioni. Allo stato attuale non risulta che i “compro oro” assolvano questa prassi, anche perché non autorizzati (art.1 comma 3 Legge 7/2000) a questo tipo di commercio.

Quindi, come visto, quei “compro oro” che si sostituiscono nelle funzioni e nei metodi agli operatori professionali, commerciando in rottami d’oro o, ancor peggio, trasformando l’oreficeria usata in rottami - entrambe le operazioni hanno l’intento dichiarato di eludere l’I.V.A.- commettono, oltre che un abuso, anche un reato come sempre la legge 7/2000 all’articolo 4 (Sanzioni) stabilisce:
§1. Chiunque svolge l'attività di cui all'articolo 1, comma 3, senza averne dato comunicazione all'Ufficio Italiano dei Cambi, ovvero in assenza dei requisiti richiesti, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni. Alla stessa pena soggiace chiunque svolga l'attività prevista dall'articolo 2, comma 1, senza esservi legittimato.
§2. Le violazioni dell'obbligo di dichiarazione di cui all'articolo 1, comma 2, sono punite con la sanzione amministrativa da un minimo del 10 per cento ad un massimo del 40 per cento del valore negoziato. Per l'accertamento delle violazioni previste dal presente comma e per l'irrogazione delle relative sanzioni si applicano le disposizioni del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, e successive modificazioni.

CONCLUSIONI
In sintesi questa analisi mostra come molti commercianti titolari di negozi comunemente denominati “compro oro” compiano i seguenti abusi:
- alterano la natura dei beni acquistati all’origine;
- cedono materiale d’oro quali rottami alle fonderie o altre aziende specializzate nel recupero di materiale preziosi, nonostante privi dei requisiti imposti dall’articolo 1 comma 3 legge 7/2000;
- Violano l’obbligo di dichiarazione alla Banca d’Italia delle operazioni aventi per natura il commercio di oro, imposto dall’art.1 comma 2 legge 7/2000;

La somma di questi abusi e reati hanno l’unico intento di eludere l’IVA e di commerciare in condizione privilegiata materie prime a carattere industriale. Infatti l’oro è notoriamente tra i metalli più preziosi presenti nel mondo naturale. Il suo prezzo è quotato ogni giorno dalle principali borse mondiali. Le banche e le aziende orafe sono gli interlocutori principali di questo commercio e grazie alle recenti crisi del mercato internazionale, l’oro si conferma quale bene rifugio principe con un valore netto raddoppiato soltanto negli ultimi quattro anni. Grazie ad una sempre crescente domanda, poter vendere oro quale materia prima alle fonderie, consente un sicuro ed immediato rientro dei capitali investiti e dei relativi utili. Diverso invece sarebbe dover vendere gioielli usati al minuto o all'ingrosso; questo richiederebbe un investimento a medio-lungo termine, la ricerca e fidelizzazione dei clienti, nonché la necessità di disporre di un magazzino fornito per offrire una adeguata scelta, con conseguente rientro ridotto di capitale, sia nei tempi che nei volumi. Tutto questo in considerazione della crisi che investe i beni di lusso cui i gioielli appartengono. Le fonderie non hanno nessun interesse ad acquistare gioielli usati e pagare sugli stessi l'IVA, pertanto richiedono ai propri fornitori esclusivamente rottami da destinare alla fusione. A tal riguardo i "compro oro" si adeguano e, pur di vendere alle suddette fonderie, alterano la natura dell'oreficeria acquistata e la commerciano abusivamente quali beni ad uso industriale.

Il boom dei “compro oro” a livello nazionale è un fatto recentissimo, infatti non oltre dieci anni a dietro ad effettuare questo tipo di commercio erano soltanto alcuni operatori ed esclusivamente nelle grandi città, i quali ritiravano i gioielli usati o per rivenderli se di particolare pregio, o per permutarli con oggetti nuovi presso le aziende orafe. Invece negli ultimi anni, grazie alla totale mancanza di controlli da parte delle autorità, si è assistito ad un incontrollato radicamento di questa idea commerciale su tutto il territorio nazionale, grazie alla convinzione di poter raggiungere facili guadagni con spese d'impianto minime. Questo ha comportato livelli di crisi agli operatori professionali soppiantati nelle competenze, senza che nessuno intervenisse nonostante gli allarmi e gli esposti presentati, da operatori abusivi ed improvvisati. Trattandosi di oro non è difficile immaginare la facilità con cui attraverso questo mezzo, sia possibile riciclare denaro e proventi di attività illecite. A tal riguardo la legge 7/2000 impose l'obbligo a tutti coloro che intendessero commerciare in rottami auriferi, di effettuare la comunicazione di tutte le operazioni di cessione superiori alle 20 milioni di lire (Euro 10.516,00) proprio in funzione anti-riciclaggio ed anche questa volta puntualmente disattesa.

Molte aziende che per anni abusivamente hanno commerciato in oro, ponendosi come intermediari tra i commercianti e le fonderie, adesso corrono ai ripari mettendosi in regola iscrivendosi nell'Albo degli operatori professionali. Buon per loro(NB:anche se dovranno rendere conto delle attività svolte precedentemente) e peggio per quei commercianti che continuano a vendere loro metallo sempre con la formula "rottame", perchè proprio a questi ultimi la legge presenterà il conto per l'IVA evasa.