lunedì 18 giugno 2012

Trentatrè quintali di oro venduto in nero in Italia, con cessioni nascoste da finte esportazioni

Trentatrè quintali di oro venduto in nero in Italia, con cessioni nascoste da finte esportazioni in mezzo mondo con la complicità di società spedizioniere. È quanto ha scoperto la guardia di finanza, che al termine di un'indagine durata un paio d'anni ha denunciato una quindicina di persone accusate, a vario titolo, di contrabbando, falsità ideologica, appropriazione indebita e frode fiscale. Con vari stratatemmi ritenuti illeciti, infatti, il comparto orafo vicentino avrebbe evitato di pagare tasse per 70 milioni di euro. I diretti interessati respingono con forza le accuse, definendo alcune di quelle che i finanzieri ritengono anomalie dei consueti rapporti d'affari. Intanto, però, le stesse fiamme gialle, al termine di 19 verifiche fiscali nel settore, hanno recuperato a tassazione un imponibile da 370 milioni di euro. L'INDAGINE. I detective delle fiamme gialle beriche, comandati dal colonnello Livio De Luca, avevano avviato verifiche fiscali nel 2010 su alcune aziende orafe: il distretto berico, leader a livello mondiale, vanta 900 imprese e 6 mila addetti, con un export da un miliardo e 200 milioni di euro. Altri accertamenti erano scattati dopo il fallimento della “Lucente”, una primaria ditta orafa del Bassanese, che aveva chiesto il concordato preventivo. Da questi spunti gli investigatori del nucleo di polizia tributaria, guidati dal tenente colonnello Paolo Borrelli, hanno riscontrato - nell'ambito dell'operazione Copperfield, dal nome dell'illusionista: l'oro spariva nel nulla - una serie di anomalie nel comportamento di alcune società vicentine in relazione ai loro rapporti commerciali con l'estero, in particolare con la Russia, la Cambogia, la Corea, l'Ucraina e soprattutto con Hong Kong. Analizzando la documentazione contabile, dove c'era - in molti casi non è stata mai ritrovata - emergevano comportamenti singolari, puntalmente evidenziati in procura. L'indagine, inizialmente seguita dal pubblico ministero Marco Peraro, è ora sul tavolo del pm Luigi Salvadori. Altre segnalazioni erano arrivate da altri reparti, come ad esempio quello di Cagliari. Sei le società vicentine coinvolte, 8 gli indagati. GLI SPEDIZIONIERI. Le transazioni commerciali in odore di illegalità hanno avuto, secondo gli inquirenti, la complicità dei titolari o dei dipendenti di alcune primarie case di spedizione vicentine, che si sono prestati ad attestare dati fasulli sui documenti doganali di esportazione. Secondo i calcoli delle fiamme gialle, fra il 2005 e il 2009 le operazioni fittizie hanno interessato complessivamente una tonnellata e 380 chilogrammi di oro e pietre preziose, per un valore pari a 26 milioni di euro. Sono 7 gli spedizionieri denunciati per atto falso. ROGATORIE. Per fare chiarezza, i militari del maggiore Enrico Spanò e del capitano Sebastiano Rapisarda hanno attivato richieste di assistenza amministrativa e rogatorie con le autorità di Hong Kong - incontrate anche alla fiera dell'oro a Vicenza - e della Russia. Unico stop è arrivato dai paradisi fiscali, da dove provenivano molti pagamenti. Ma con la collaborazione delle altre forze di polizia sono stati scoperti altri meccanismi ritenuti non leciti per non pagare il dovuto all'erario. SOCIETÀ OFF SHORE. Una delle anomalie più evidenti riscontrate nel corso dell'indagine è quella che riguarda i pagamenti. Le ditte vicentine, almeno sulla carta, vendevano ingenti quantità di oro lavorato e pietre preziose a compratori russi. La merce, però, la mandavano a Hong Kong. I pagamenti? Arrivavano, non sempre, peraltro senza che i vicentini attivassero procedure per incassare il dovuto. E provenivano da Panama, Seychelles, Gibilterra, Svizzera, Cipro o Isole Vergini: cioè paradisi fiscali, e da società off shore. L'IPOTESI. A cosa serviva tutto questo giro che toccava svariati paesi del mondo? I militari delle fiamme gialle avanzano sul punto un'ipotesi concreta, al momento non suffragata da confessioni dirette: e cioè che quell'oro, in verità, non si muovesse mai da Vicenza, dove veniva lavorato e venduto in nero. In questo sistema, non solo le sei società potevano avere lauti incassi esentasse, con sconti concreti che garantivano forme di concorrenza sleale, ma anche disponibilità economiche. I guadagni infatti sarebbero stati girati a società off shore nei paradisi fiscali, e da lì fatti rientrare in Italia per dare una parvenza di normalità alle operazioni internazionali. Le merci esportate fittiziamente erano in regime di non imponibilità iva. LE FRODI FISCALI. I finanzieri hanno ricostruito flussi finanziari per 36 milioni di euro provenienti da conti cifrati, che hanno causato, unitamente alle altri frodi, un mancato versamento di 70 milioni di euro alle casse dello Stato. Non solo: le verifiche - 19 in due anni - compiute a carico di aziende orafe vicentine hanno dimostrato che il “nero” e il ricorso alle frodi è più diffuso di quanto emerso nel corso della stessa indagine, perchè sono stati segnalati per il recupero a tassazione elementi di reddito (fra omessi ricavi e costi indeducibili) per 370 milioni di euro, con un'Iva complessiva da oltre 80 milioni. Diego Neri IL VIDEO DELL'OPERAZIONE: FONTE: Il Giornale di Vicenza

4 commenti:

  1. Come in ogni settore anche nei compro oro ci sono negozianti disonesti e ritengo sia necessario, prima di vendere l'oro, informarsi sui vari commercianti e negozi e scegliere il migliore. Ad esempio io abito a Roma e mi sono rivolta ad un negozio di Marangi compro oro e ho trovato competenza e professionalità.

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  2. che per caso la Signora Sara fa Marangi di cognome???

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  4. Nel settore dei compro oro si è fatta molta pulizia, ad oggi la maggioranza dei negozi opera regolarmente. L'attenzione dei media a questa attività è dovuta al fatto che era una novità.

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